Chi sono i nativi digitali?

Prima di tutto: chi sono i “nativi digitali”?

La definizione, coniata per la prima volta nel 2001 dallo scrittore Mark Prensky, indica la generazione di nati (negli Stati Uniti) dopo il 1985, anno di diffusione di massa del pc a interfaccia grafica e dei primi sistemi operativi Windows.

In Italia si parla di “nativi digitali” dalla fine degli anni novanta, quando i computer e internet sono entrati prepotentemente nella vita di tutti.

I bambini nati da questi anni in poi hanno perciò vissuto fin dalla nascita in simbiosi con le nuove tecnologie, che a partire dal semplice computer si sono via via moltiplicate: ipod, smartphone, tablet.

La familiarità dei bambini con una tale varietà di “schermi interattivi” ha plasmato il loro modo di apprendere, di conoscere e di comunicare. E, contestualmente, il loro approccio alla realtà: per i nativi, il “virtuale” è realtà tanto quanto quella che si esperisce con i sensi, in presenza.

 

Connessione, condivisione e multitasking

Internet è lo strumento di comunicazione principe tra i nativi, grazie al quale possono tenersi in continua connessione e condividere informazioni con il gruppo dei pari.
Il successo dei social network, infatti, conferma pienamente l’uso dominante delle nuove tecnologie come “estensione della sfera sociale”. I nativi hanno un approccio open-source e cooperativo che è ben rappresentato dal modo in cui i giovani condividono la musica, il sapere e le esperienze online attraverso i più diversi strumenti di comunicazione tecnologica (Paolo Ferri, Nativi Digitali, saggi, Bruno Mondadori).

Molti sono i detrattori di questo atteggiamento multitasking, ritenuto nemico dell’attenzione selettiva e della memoria associativa a lungo termine, ma Ferri è convinto nel dire che, se ben usate, le diverse modalità non sono affatto contrapposte, bensì complementari: l’uso consapevole del multitasking consente infatti un minor sovraccarico della memoria a favore di una maggiore attenzione verso ognuno dei task cognitivi (scrivere, parlare, guardare, ascoltare…) chiamati in causa di volta in volta. Uno zapping nel quale il cervello rileva e registra solo i cambiamenti rispetto alla precedente "sintonizzazione", procede per "aggiornamenti", demandando il lavoro massiccio di memoria all'immenso archivio della rete stessa.

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