Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

 
«Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti».
Con questa parabola Gesù ci richiama l’irreparabile eternità delle pene dell’inferno. È un discorso duro, ma viene dalle labbra di Gesù. Il ricco Epulone, che durante la vita terrena non ha praticato la carità, soffre irrimediabilmente nell’oltrevita. Egli, come i suoi fratelli, conosceva la legge e le profezie che specificano i modi della giustizia divina: forse riteneva che per lui si sarebbe fatta un’eccezione, e invece tutto si compie alla lettera. Siamo avvertiti anche noi: non possiamo edulcorare la legge di Cristo, affidarci a una "misericordia” che non trovi corrispettivo nella nostra carità. Finché siamo quaggiù abbiamo tempo per compiere il bene, e in tal modo guadagnarci la felicità eterna: poi sarà troppo tardi. Gesù dà un senso anche alle sofferenze di Lazzaro: le ingiustizie terrene saranno largamente compensate nell’altra vita, l’unica che conta. Abbiamo il dovere di far conoscere a tutti, cominciando dalle persone che amiamo, la logica della giustizia divina: e questa è la forma più squisita della carità.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16,19-31)

«Nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti».
In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”. Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”. E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Dalla Parola del giorno

"Un povero di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco."

Il povero Lazzaro e l'innominato festaiolo

Per la terza domenica di fila, la liturgia ci porta a meditare su una parabola del racconto di Luca. Mi piace continuare a stupirmi della genialità, dell'imprevedibilità con cui Gesù riusciva a toccare il cuore e la mente dei suoi discepoli e dei suoi ascoltatori. Nel mese di luglio ho avuto la fortuna di condividere una bellissima settimana con un gruppo di adolescenti e giovani della mia comunità. Ogni giornata è stata scandita da una parabola. Devo confessare che è stata un' esperienza molto importante per me, perché mi ha costretto a rimettermi in gioco, a ritrovare entusiasmo e soprattutto a stare davanti alla Parola con stupore. A volte ho l'impressione che a noi preti, agli "addetti al lavoro", a chi si sente esperto, manchi proprio lo stupore. Ringrazio il Signore, perché ho avuto la fortuna di (ri)impararlo proprio dai miei ragazzi. Bene, allora lasciamoci stupire da questa parabola! I due protagonisti sono descritti abilmente da Luca: il ricco è senza nome, si veste come un vip del suo tempo e gozzoviglia tra un banchetto e un ricevimento; il povero, invece, ha un nome, si chiama Lazzaro - diminutivo di Eleazaro che significa "Dio aiuta" - e sta alla porta del ricco mangione cercando qualche avanzo per sfamarsi. Vorrei sottolineare che il centro della parabola non sta nel ribaltamento della seconda scena, Gesù non vuole attirare la nostra attenzione sulla punizione che spetta all'innominato festaiolo. Il ricco non è condannato per le sue ricchezze, ma per la sua totale indifferenza verso il povero Lazzaro. Questo è il centro della parabola. Il ricco e il povero sono vicini, vicinissimi, ma l'uno nemmeno si accorge dell'altro. Questo, lo ripeto, è il centro. Il ricco non è né cattivo, né violento, né oppressore verso il povero Lazzaro. Semplicemente non lo vede. Terribilmente non si accorge di lui. Questa indifferenza è l'abisso che separa l'uno dall'altro, valico incolmabile scavato dalla superficialità e dalla supponenza del ricco godereccio. Quest'ultimo non fa nulla di male: non lo uccide, non lo picchia, non peggiora la sua situazione. Ma proprio su questo, la parabola vuole attirare la nostra attenzione: sul minimalismo che ci abita, sulla supponenza che ci gonfia fino a far sparire le persone che ci stanno vicine, sulla superficialità che ci svuota e ci rende terribilmente miopi, sulle ricchezze che appesantiscono e impediscono il cammino verso l'altro. Quanto ci dedichiamo alle persone che incrociamo ogni giorno? Quanto tempo regaliamo per ascoltare, accogliere, riconoscere situazioni di bisogno o di necessità che ci circondano? Quanto siamo pronti a rinunciare alla frenesia e alla fretta che ci risucchiano in vortici di superficialità, per regalare del tempo ad un amico? Quanta energia investiamo nel colmare gli abissi che l'indifferenza scava tra cuore e cuore? Animo, fratelli! Sbarazziamo della miopia e della fretta che ci tengono ostaggi, non permettiamo alle ricchezze di zavorrarci nelle nostre presunzioni e chiediamo a Dio un cuore che sappia amare con passione! Un missionario mi disse: "Chi ama tanto, vede tanti poveri; chi ama poco vede pochi poveri; chi non ama, non vede nessuno."

Per concludere, vi racconto una storiella che riassume il significato di questa parabola.
Un giorno, un riccone arrivò in Paradiso. Fece subito un giro per i negozi e vide che non erano per niente cari. Allora cominciò subito a scegliere le cose più belle e, al momento di pagare, diede all'angelo, che era il commesso, tante banconote di grosso taglio. Ma l'angelo gli disse: "Mi spiace, ma questo denaro non vale niente". " Impossibile!" disse l'uomo ricco. Allora l'angelo rispose:"Qui vale solo il denaro che sulla terra è stato donato".


Buona Settimana
don Roberto Seregni
O Dio, abbiamo scoperto che "tu chiami per nome i tuoi poveri, mentre non ha nome il ricco epulone". Ti chiediamo: "stabilisci con giustizia la sorte di tutti gli oppressi, poni fine all'orgia degli spensierati, e fa' che aderiamo in tempo alla tua Parola, per credere che il tuo Cristo è risorto dai morti e ci accoglierà nel tuo regno". La tua parola, apra il mio cuore alla generosità, alla condivisione ed alla solidarietà, nei confronti di chi è nella necessità, per essere tuo fratello e figlio dello stesso Padre. Amen.

L'abisso è la vera definizione dell' "l'inferno": la distanza che creiamo tra noi e i nostri fratelli. Quando il ricco chiede che Lazzaro possa raggiungerlo con una goccia d'acqua, Abramo gli ricorda che per tutta la vita lo aveva avuto a fianco, sulla soglia di casa sua, ma non ne ha approfittato, anzi ha creato un abisso. Ogni giorno della nostra vita, allora, è l'occasione che ci è offerta per creare relazioni nelle quali chiamarci reciprocamente per nome e così generarci continuamente alla vita. Questo è "il paradiso" ed è a portata di mano, solo che spesso non ce ne accorgiamo.


Disegno di Sergio Toppi

Dovendosi dare la Bibbia a tutti gli uomini, i contenuti dovranno proporzionarsi e adattarsi alla mentalità ed ai bisogni delle varie classi di persone, spesso diverse di cultura... La Bibbia è il libro del pastore e del gregge insieme; è il libro di tutti. Divenga il pane quotidiano (UPS III, 17).

Ma il Signore guarda a chi è trascurato e scartato dal mondo. Lazzaro è l’unico personaggio, in tutte le parabole di Gesù, ad essere chiamato per nome. Il suo nome vuol dire: “Dio aiuta”. Dio non lo dimentica, lo accoglierà nel banchetto del suo Regno, insieme ad Abramo, in una ricca comunione di affetti. L’uomo ricco, invece, nella parabola non ha neppure un nome; la sua vita cade dimenticata, perché chi vive per sé non fa la storia. E un cristiano deve fare la storia! Deve uscire da sé stesso, per fare la storia! Ma chi vive per sé non fa la storia. L’insensibilità di oggi scava abissi invalicabili per sempre. E noi siamo caduti, in questo momento, in questa malattia dell’indifferenza, dell’egoismo, della mondanità.

Omelia per il Giubileo dei Catechisti, 25 settembre 2016

La donna e la cipolla

Vedi, Aljòscecka, - scoppiò e ridere nervosamente Grùscegnka rivolgendosi a lui, - mi sono vantata con Rakìttka di aver dato una cipolla, ma con te non mi vanterò, a te parlerò con un'altra intenzione. E' soltanto una leggenda, ma una bella leggenda, che ancora bambina a sentito dalla mia Matrjòna, quella che adesso serve da me come cuoca. Senti com'è: "C'era una volta una donna cattiva cattiva che morì, senza lasciarsi dietro nemmeno un'azione virtuosa. I diavoli l'afferrarono e la gettarono in un lago di fuoco. Ma il suo angelo custode era là e pensava: di quale suo azione virtuosa mi posso ricordare per dirla a Dio? Se ne ricordò una e disse a Dio: - Ha sradicato una cipolla nell'orto e l'ha data a una mendicante. E Dio gli rispose: - Prendi dunque quella stessa cipolla, tendila a lei nel lago, che vi si aggrappi e la tenga stretta, e se tu la tirerai fuori del lago, vada in paradiso; se invece la cipolla si strapperà, la donna rimanga dov'è ora. L'angelo corse della donna, le tese la cipolla: - Su, donna, le disse, attaccati e tieni. E si mise a tirarla cautamente, e l'aveva già quasi tirata fuori, ma gli altri peccatori che erano nel lago, quando videro che la traevano fuori, cominciarono ad aggrapparsi tutti a lei, per essere anch'essi tirati fuori. Ma la donna era cattiva cattiva e si mise a sparar calci contro di loro, dicendo: "E' me che si tira e non voi, la cipolla è mia e non vostra. Appena ebbe detto questo, la cipolla si strappò. E la donna cadde nel lago e brucia ancora. E l'angelo si mise a piangere e si allontanò".

Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov VII, 3

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