Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

 
«Non potete servire Dio e la ricchezza».
Vi è prima una parabola e poi una serie di ammonimenti che commentano un elemento della parabola stessa e cioè l’uso del denaro. La parabola, come è ovvio, non loda il fattore perché è disonesto, ma perché ha la chiarezza e la decisione di imboccare l’unica via di salvezza che gli si prospetta. Si sa che l’arte di cavarsela è molto applicata nelle ambigue imprese di questo mondo. Lo è molto meno nella grande impresa della salvezza eterna. Perciò Gesù ci rimprovera di essere più pronti a salvarci dai mali mondani che dal male eterno, lui che da parte sua ha fatto di tutto perché fossimo salvati, fino a salire in croce per noi. Non ci decidiamo a credere che, se non portiamo il nostro peccato davanti a Dio, siamo perduti. Cominciamo le nostre Messe confessando i peccati che abbiamo commessi, ma usciti di chiesa ricominciamo a parlare di quelli altrui. Un “test” decisivo dell’autenticità della nostra decisione cristiana è proprio l’uso del denaro. Non è disonesta la ricchezza in sé, né maledizione la ricchezza esteriore. Ma lo è la ricchezza come idolo, innamoramento e progetto, come deformazione interiore del cuore e della mente, che vogliono a tutti i costi essere produttori di potenza e quindi di potere economico. Occorre decidersi a scegliere: o mammona o Dio; cioè: o essere il signore per signoreggiare o servire il Signore e godere della sua onnipotenza d’amore. C’è un solo modo di liberarsi dalla schiavitù della ricchezza: farsi “amici” per mezzo di ciò che si ha, cioè con l’impegno della solidale condivisione.

 

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 16,1-13)

«Non potete servire Dio e la ricchezza».
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”. L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”. Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”. Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne. Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra? Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».

Dalla Parola del giorno

«Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro».

Astuzia per il Regno

Il sole tagliente di settembre si apre un varco sottile tra i grandi finestroni dell'oratorio. Cerco di rimettere un po' d'ordine tra le aule del catechismo. Sposto e risistemo sedie e tavoli scompigliate dalle attività estive e dai vari gruppi di oratorio cittadini che mi hanno chiesto ospitalità durante i mesi scorsi. Tra poche settimane ricominceremo tutte le attività pastorali e mi ripeto che non devo farmi risucchiare da inutili preoccupazioni. Ormai mi conosco, lo so, rischio di correre di qua e di la e di combinare un bel niente... Cerco di fare quello che devo, il resto lo lascio alla fantasia di Dio. Le aule sono a posto. C'è una tapparella rotta e un paio di sedie da sostituire. Il corridoio sembra un sentiero nel Sahara, ma sono sicuro che dopo il passaggio delle nostre fantastiche volontarie, dovrò inforcare gli occhiali da sole per sostenerne la brillantezza... Tra tutti questi piccoli lavoretti, continua a girarmi per la testa la parabola dell'amministratore astuto. Ovvio: Gesù non ci propone questo amministratore come modello di disonestà, ma come esempio di astuzia. Al centro sta l'amara costatazione del Rabbì: "i figli di questo mondo sono più scaltri dei figli della luce" (v.8). Il discepolo dovrebbe avere la stessa prontezza, astuzia e passione dell'amministratore per assicurarsi e per annunciare il Regno di Dio. Ci pensavo proprio l'altra sera. Un amico mi ha chiamato al telefono e dopo un po' di convenevoli, si arriva al dunque: finalmente ha trovato la ragazza giusta e tutto l'universo ruota intorno al suo sorriso... Una carrellata di episodi, fatti e descrizioni riempiono la nostra conversazione. Mi immagino il suo volto trasfigurato, la gioia che evapora dagl'occhi e, mentre lui continua a raccontare, mi dico che se le nostre comunità avessero anche solo la metà di quell'entusiasmo e di quella passione nell'annunciare Gesù e il suo Regno, forse le cose sarebbero un po' diverse... E' vero, forse ci manca passione. Molte delle nostre comunità sono sedute, ripetitive, nostalgiche, stancanti, incapaci di novità, di dialogo, di ascolto e di accoglienza. Davvero ci vorrebbe l'astuzia e la prontezza dell' amministratore della parabola messa a servizio del Vangelo. Davvero ci vorrebbe quella passione. All'inizio di questo nuovo anno pastorale, proviamoci! Lasciamo che l'audacia del dialogo e il coraggio della novità, portino su nuove rotte i nostri percorsi comunitari. Nuove esperienze di carità e di ascolto fraterno, facciano esplodere le nostre chiusure e le nostre paure. Convertiamo le nostre riunioni in veri incontri, dove per davvero ci si possa incontrare, conoscere e condividere. Coraggio, cari amici! Lasciamo che lo Spirito ci aiuti ad essere testimoni appassionati e credibili del Risorto. Il mondo ne ha bisogno più di quanto creda, e forse più di quanto noi osiamo immaginare.

Buona Settimana
don Roberto Seregni
Gesù Giusto, pietà della mia disonestà, delle mie opere inique, pietà dei miei imbrogli, delle mie truffe. Pietà Gesù povero, non ho usato i miei beni per farmi degli amici. Raramente ho condiviso con i bisognosi. Pietà Gesù Fedele, sono stato infedele nel poco, figuriamoci nel molto. Infedele nelle cose della terra, figuriamoci in quelle che riguardano il cielo! Pietà Signore della mia pigrizia spirituale. Pietà della mia ambiguità nel servire più d'un padrone. O Dio mia salvezza, Soccorritore fedele, fammi distaccato dalle cose della terra. E per le cose del cielo, appassionato! Fa', o Signore, che arriviamo a comprendere che nel tuo amore c'è tutto ciò di cui abbiamo bisogno per vivere e per essere felici. A noi, che desideriamo possedere sempre di più, fa' comprendere che il tuo amore è la ricchezza più grande che possiamo avere e che il sentirci amati da te è il tesoro più prezioso che possiamo desiderare.

I figli di questo mondo verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Gesù ci dice che essere figli della luce non significa non impiegare al massimo le capacità di intelletto e di "tornaconto" personale. Quello che cambia rispetto ai figli delle tenebre è la trasparenza dell'essere e la scelta di un fine che sia la garanzia quotidiana di una vita che non si esaurisce nel frammento di tempo in cui fluisce, ma sconfina nell'infinità di Dio.
SPUNTO DI RIFLESSIONE
Nel celebre romanzo "Racconti di un pellegrino russo" si leggono queste parole: "Per grazia di Dio sono un uomo cristiano; per azioni grande peccatore; per vocazione pellegrino della specie più misera, errante di luogo in luogo: I miei beni terrestri sono una bisaccia sul dorso, con un po' di pane, e nella tasca interna del camiciotto la sacra Bibbia. Null'altro...". Significativo passo, non è vero? Facciamone tesoro per la vita.


Disegno di Sergio Toppi

Nell'apostolato dell'edizione si consiglia il metodo denominato: "via, verità e vita", dal trinomio evangelico su cui poggia. L'apostolo deve studiarlo, approfondirlo, seguirlo nella sua formazione e quindi esplicarlo nel suo apostolato (AE, 38).

Gesù oggi ci esorta a fare una scelta chiara tra Lui e lo spirito del mondo, tra la logica della corruzione, della sopraffazione e dell’avidità e quella della rettitudine, della mitezza e della condivisione. Qualcuno si comporta con la corruzione come con le droghe: pensa di poterla usare e smettere quando vuole. Si comincia da poco: una mancia di qua, una tangente di là… E tra questa e quella lentamente si perde la propria libertà. Anche la corruzione produce assuefazione, e genera povertà, sfruttamento, sofferenza. E quante vittime ci sono oggi nel mondo! Quante vittime di questa diffusa corruzione. Quando invece cerchiamo di seguire la logica evangelica dell’integrità, della limpidezza nelle intenzioni e nei comportamenti, della fraternità, noi diventiamo artigiani di giustizia e apriamo orizzonti di speranza per l’umanità. Nella gratuità e nella donazione di noi stessi ai fratelli, serviamo il padrone giusto: Dio.

All’Angelus: Piazza San Pietro - Domenica, 18 settembre 2016

Un ricco povero

C'era una volta un uomo ricchissimo. Possedeva tanti negozi, tante fabbriche e tante banche, cosicché ogni settimana riceveva nel suo palazzo molti autocarri carichi di denaro. Non sapeva più dove metterlo o in che cosa spenderlo. Si comperava tutto quello che gli piaceva: aerei, navi, treni, edifici, monumenti, ecc. Era sempre alla ricerca di cose da comperare. Arrivò un giorno in cui aveva proprio tutto. Non c'era cosa che non possedesse. Tutto era suo. Tuttavia c'era una cosa che non riusciva ad avere. E per quanto ne comprasse, una non la trovava mai. Era la gioia. Non trovò mai il negozio in cui la vendessero. Si impegnò a cercarla a qualunque costo, perché era l'ultima cosa che gli mancava. Percorse mezzo mondo alla sua ricerca, ma senza risultato. Un giorno capitò in un piccolo villaggio e venne a sapere che un vecchio saggio poteva aiutarlo. Viveva in cima a una montagna, in un' umile e povera capanna. Si diresse verso di lui e quando lo trovò gli disse: - Mi hanno detto che lei potrebbe aiutarmi a trovare la gioia. Il vecchio lo guardò sorridendo e rispose: - Lei l'ha già incontrata, amico. Io ho molta gioia. - Lei? - esclamò stupito il ricco. - Ma se possiede soltanto una povera capanna e poco più! - Certo, e proprio per questo ho la gioia, poiché do a chi ne ha bisogno tutto quello che ho di più - affermò il vecchio. - E così si ottiene la gioia? - chiese il ricco. - Così l'ho trovata io - confermò il Vecchio. Il ricco se ne andò pensieroso. Poco tempo dopo risolse di dare tutto quello che non gli era necessario a quelli che ne avevano bisogno. Con grande sorpresa scoprì che facendo così sentiva gioia. Si era reso conto che c'è più gioia nel dare e nel rendere felici gli altri che nel ricevere e possedere tante cose senza condividerle.

Josè Real Navarro e Maria Carla Mantovani

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