Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

C'è un'espressione in latino, «extra omnes», che si dice a ogni morte di Papa. «Ai nostri giorni l'ha pronunciata il Covid-19 per cacciarci dalle Chiese». Aggiunge il Gallo del Mattino che interviene a zampa tesa. Faccio finta di non aver sentito. Dunque, quando i Cardinali si riunivano nella Cappella Sistina per eleggere il successore di Pietro il maestro di cerimoniere gridava ai non addetti ai lavori «Extra omnes, fuori tutti». La stessa parola «conclave» deriva dal latino, «cum clave», ed è riferita al luogo chiuso a chiave dove venivano segregati i Porporati. Se i «reclusi» la tiravano troppo per le lunghe, venivano nutriti a pane e acqua, fino ad elezione avvenuta, dicono le leggende. Un sistema medievale, che potrebbe funzionare anche oggi per accelerare certe lentezze burocratiche. Questo è il discorso che volevo fare, ma il nostro Gallo vuol dire la sua stamattina: «Il Covid-19, comunque, ha rovesciato le cose. Siamo tutti, non in quaresima, ma in quarantena». In effetti, il virus ci ha tolto le chiese, le scuole, gli stadi, i centri culturali, i luoghi di spettacolo, gli studi televisivi. Tutti i posti dove ci incontravamo. Eccetto uno. Il Cenacolo, la stanza dell'Ultima Cena e della Prima Pasqua cristiana. Il terzo giorno dopo la sepoltura, nel Cenacolo, a porte chiuse, Gesù appare agli Apostoli. Il Risorto portava in dono se stesso, la pace, la vita. L'apostolo Tommaso però non c'era in quel momento, non aveva assistito all'incredibile visione. Se ne stava fuori, contagiato dai virus della delusione, della frustrazione, del fallimento interiore. Perciò il Signore, otto giorni dopo, sempre a porte chiuse, si ripresenta e incastra Tommaso, nostro gemello: “Toccami le mani e il costato”. Sono vivo. Anche tu ora sei vivo, Tommaso. «Non essere incredulo, ma fedele» (Cfr Gv, 20, 19-28). Il Covid-19 può cacciarci dalle Chiese, ma non dal Cenacolo. Siamo in quaresima, non in quarantena. L'Arcivescovo Don Erio Castellucci, che ha celebrato le Ceneri a porte chiuse nel Duomo di Modena, il 26 febbraio 2020, ci viene in soccorso: «Nel sacrificio richiesto a molti fedeli, la rinuncia alla partecipazione personale alla Cena del Signore, è racchiusa un'opportunità: ritrovare il «segreto» della propria casa, della propria stanza, e riscoprire il cuore della preghiera». E cita Gesù: «Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto» (Mc 6, 6). Il Gallo del mattino si è allontanato. Ritorna con un pallone sotto l'ala destra e pontifica ancora: «Tuttavia, quando non ci sono i fedeli, la Chiesa sembra morta. Quando negli stadi non c'è il pubblico, le partite di calcio sembrano le sfide tra scapoli e ammogliati. Quando in uno studio televisivo non c'è gente, nemmeno Crozza fa ridere». «Ho capito, ce l'hai storta stamattina. Lo sai almeno che ai polli il Covid-19 non può fare nulla? Quindi, esci e recupera un mazzo di mimose per le nostre amiche lettrici. Oggi è l'8 marzo, festa della donna.

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«Il suo volto brillò come il sole».
Nelle Scritture, la montagna è sempre il luogo della rivelazione. Sono gli uomini come Mosè (Es 19) e Elia (1Re 19) che Dio incontra. Si racconta anche che il volto di Mosè venne trasfigurato da quell’incontro: “Quando Mosè scese dal monte Sinai - le due tavole della Testimonianza si trovavano nelle mani di Mosè mentre egli scendeva dal monte - non sapeva che la pelle del suo viso era diventata raggiante, poiché aveva conversato con il Signore” (Es 34,29). La magnificenza della rivelazione divina si comunica anche a coloro che la ricevono e diventano i mediatori della parola di Dio. Gesù si mette a brillare come il sole sotto gli occhi di tre discepoli: questo lo individua come colui che è l’ultimo a rivelare Dio, come colui che oltrepassa tutti i suoi predecessori. Ciò è sottolineato ancor più dal fatto che Mosè ed Elia appaiono e si intrattengono con lui. Essi rappresentano la legge e i profeti, cioè la rivelazione divina prima di Gesù. Gesù è l’ultima manifestazione di Dio. È quello che dimostra la nube luminosa - luogo della presenza divina (come in Es 19) - da dove una voce designa Gesù come il servitore regale di Dio (combinazione del salmo 2, 7 e di Isaia 42, 1). A ciò si aggiunge, in riferimento a Deuteronomio 18, 15, l’esortazione ad ascoltare Gesù, ad ascoltare soprattutto il suo insegnamento morale.

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 17,1-9)

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Dalla Parola del giorno
«Signore, è bello per noi essere qui»

Luce di bellezza
Chissà se quella cenere leggera caduta sulle nostre teste ha davvero avuto la forza della grandine, ha svegliato il torpore della nostra fede mettendoci in cuore l'incandescenza che purifica e rinnova. Chissà se la mortificazione di questa prima settimana ha vivificato la nostra fede e ci ha resi pronti a riconoscere i vicoli ciechi delle nostre scorciatoie, per imboccare la via promettente del Vangelo. Dal deserto delle tentazioni la liturgia ci fa fare un balzo impegnativo fino al Tabor, il monte della Trasfigurazione. Un balzo importante perché ci fa pregustare la meta verso la quale siamo incamminati. Questo "salto spirituale" dal deserto al Tabor ci mette davanti agli occhi un Vangelo che scardina quell'immagine grigia, cupa e ammuffita della Quaresima che si è sedimentata nel nostro immaginario spirituale. L'autentica mortificazione quaresimale è per la vivificazione e non per la tristezza! Se mi mortifico è per far crescere la vita dello Spirito in me; è perché mi serve dire alcuni "no" per allargare il cuore a dei "sì" più grandi e più maturi; è perché in me c'è qualcosa che deve morire per portare frutto. Pietro, Giacomo e Giovanni sono condotti dal loro Rabbì in cima al Tabor. Mentre salgono in silenzio, il loro smarrimento cresce nel cuore. La Parola di Gesù sul suo futuro di passione, di morte e resurrezione è rimasta indigesta... Non capiscono, ma si fidano del Maestro. Non capiscono, ma camminano sui suoi passi. Non capiscono, ma sanno che devono stare sulle tracce di Gesù. Mentre salgono al Tabor, i pensieri sono in subbuglio. Confusione. Smarrimento. Buio. Il respiro corto della salita batte il ritmo dei mille pensieri che si scontrano nel cuore e nella testa. E all'improvviso, a squarciare il buio che i discepoli si portano dentro, ecco una luce. Un bagliore di bellezza. Gli occhi sono sgranati e il cuore batte a mille. Pietro, Giacomo e Giovanni ricevono il dono di poter assistere ad un anticipo della gloria della Resurrezione. Gesù svela l'altra faccia del suo mistero: non solo la Croce, ma anche la Gloria. Gesù apre i loro occhi per riconoscere la Sua bellezza, per svelare la Sua identità.

Buon cammino di Quaresima
don Roberto Seregni

Ti preghiamo, Signore Gesù, illumina anche noi con la luce della tua bellezza. In compagnia di Pietro, Giacomo e Giovanni contempleremo il tuo Volto trasfigurato d'amore. Tu non ci vuoi mai lasciare soli, lo sai che siamo deboli e fragili. Tu conosci la nostre fatiche e ci hai chiamati a te per donarci forza e coraggio con la tua Parola e il tuo Pane di vita. Fa' che anche in mezzo alle fatiche quotidiane non ci sentiamo mai soli e che il ricordo della tua bellezza non ci permetta di svendere il nostro cuore alle illusioni e alle promesse false del mondo. Con la forza dello Spirito di santità, guidaci nel nostro cammino di conversione quaresimale. Maria aggiunga ciò che manca alla nostra preghiera. Amen.
Fatti terribili che capitano nel mondo, ci fanno sentire uomini e donne fragili e quasi destinati alla fine di tutto, e Dio sembra davvero così lontano. Ecco che l'esperienza di questi tre discepoli ci viene riproposta come luce di speranza: non siamo destinati al nulla e alla sola sofferenza. Anzi, proprio di fronte alle acque terribili della vita, possiamo risalire anche noi il monte della trasfigurazione, e trovare nella fiducia in Cristo e nella sua parola, una salvezza più in alto. E in questo salire però non possiamo e non dobbiamo pensare solo a noi stessi. Se qualcuno forse un giorno con la sua testimonianza di fede ci ha fatto salire in alto, anche noi siamo chiamati a "tirare su" anche altri, che rischiano di rimanere travolti. La fede è un dono di Dio, ma è anche un compito importante, che è quello di trasmetterla gli uni agli altri.

Disegno di Sergio Toppi

Ciò che è da farsi è conquistare Dio, sommo bene. Ecco il pensiero fondamentale sulla povertà. Quel tale che cercava perle preziose, venne a conoscerne una la quale era preziosissima, di altissimo valore. E allora che cosa fece? Allora andò a casa, vendette quel che aveva... la comprò e fu ricchissimo (FSP57, p. 440).

«Ascoltare Cristo, infatti, comporta assumere la logica del suo mistero pasquale, mettersi in cammino con Lui per fare della propria esistenza un dono di amore agli altri, in docile obbedienza alla volontà di Dio, con un atteggiamento di distacco dalle cose mondane e di interiore libertà. Occorre, in altre parole, essere pronti a "perdere la propria vita" (cfr Mc 8,35), donandola affinché tutti gli uomini siano salvati e ci incontreremo nella felicità eterna».

All’Angelus - Piazza San Pietro - Domenica 1 marzo 2015

Se i peccati...fossero pietre (fonte non specificata)

Due donne si recarono da un saggio, che aveva fama di santo, per chiedere qualche consiglio sulla vita spirituale. Una pensava di essere una grande peccatrice. Nei primi anni del suo matrimonio aveva tradito la fiducia del marito. Non riusciva a dimenticare quella colpa, anche se poi si era sempre comportata in modo irreprensibile, e continuava a torturarsi per il rimorso. La seconda invece, che era sempre vissuta nel rispetto delle leggi, si sentiva perfettamente innocente e in pace con se stessa. Il saggio si fece raccontare la vita di tutte e due. La prima raccontò tra le lacrime la sua grossa colpa. Diceva, singhiozzando, che per lei non poteva esserci perdono, perché troppo grande era il suo peccato. La seconda disse che non aveva particolari peccati da confessare. Il sant'uomo si rivolse alla prima: «Figliola, vai a cercare una pietra, la più pesante e grossa che riesci a sollevare e portamela qui». Poi, rivolto alla seconda: «E tu, portami tante pietre quante riesci a tenerne in grembo, ma che siano piccole». Le due donne sì affrettarono a eseguire l'ordine del saggio. La prima tornò con una grossa pietra, la seconda con un'enorme borsa piena di piccoli sassi. Il saggio guardò le pietre e poi disse: «Ora dovete fare un'altra cosa: riportate le pietre dove le avete prese, ma badate bene di rimettere ognuna di esse nel posto esatto dove l'avete presa. Poi tornate da me». Pazientemente, le due donne cercarono di eseguire l'ordine del saggio. La prima trovò facilmente il punto dove aveva preso la pietrona e la rimise a posto. La seconda invece girava invano, cercando di ricordarsi dove aveva raccattato le piccole pietre della sua borsa. Era chiaramente un compito impossibile e tornò mortificata dal saggio con tutte le sue pietre. Il sant'uomo sorrise e disse: «Succede la stessa cosa con i peccati. Tu, - disse rivolto alla prima donna - hai facilmente rimesso a posto la tua pietra perché sapevi dove l'avevi presa: hai riconosciuto il tuo peccato, hai ascoltato umilmente i rimproveri della gente e della tua coscienza, e hai riparato grazie al tuo pentimento. Tu, invece, - disse alla seconda - non sai dove hai preso tutte le tue pietre, come non hai saputo accorgerti dei tuoi piccoli peccati. Magari hai condannato le grosse colpe degli altri e sei rimasta invischiata nelle tue, perché non hai saputo vederle».

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