Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

L'Arcivescovo di Modena-Nonantola, Don Erio Castellucci, sostiene che noi cristiani, quando parliamo di trasmissione della fede, siamo tormentati «dall'ansia dei risultati, dalla quantificazione dei successi seguita dalla depressione per i fallimenti». Il contesto di questa affermazione è nella spiegazione dell'espressione paolina “collaboratori di Dio” nell'evangelizzazione, espressione che si trova nella prima lettera ai Corinti (1 Cor 3,9). San Paolo sta dicendo ai cristiani di Corinto che la fede è dono di Dio, nessuno di noi può donarla: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere» (1 Cor 3,6). Don Erio sta preparando la Lettera per l'anno pastorale 2019-2020 dedicata all'iniziazione cristiana dei bambini dei ragazzi. Sarà una bella sfida contro l'ansia da prestazioni. Mettersi a servizio della Parola, dell'annuncio, della catechesi è tutto ciò che possiamo fare, testimoniando la bellezza di credere. Questo è l'antidoto contro i fantasmi del catastrofismo, i venditori di elisir di lunga vita, e contro gli scettici. Il Gallo tace. Ansia da prestazione del suo chicchirichì? Il Gallo parla: «Nessuna ansia. Mi piacerebbe che tu dessi qualche suggerimento pratico». Il suggerimento pratico, ancora una volta, ha il volto di Bud Spencer, che interpreta Ettore Fieramosca nel film di Pasquale Festa Campanile Il soldato di Ventura (1976). Bisogna organizzare la “disfida di Barletta”. Secondo la storia (1503): per liberare la città “pugliese” dall'assedio “francese”, scendono in campo 13 italiani, la compagine di soldati di ventura più scalcinata che ci sia, comandati da Ettore Fieramosca, contro 13 francesi eleganti, forti, con armature argentate, guidati dal nobile Charles La Motte. Alla fine, mossi da una forte carica patriottica, gli italiani vinceranno sui francesi. Secondo la metafora: una comunità unita da fede, speranza e carità abbatte ogni ansia da prestazione. «Ma cosa c'entra il discorso serio della iniziazione cristiana con Bud Spencer e con i suoi compagni stralunati (e divertenti)?». Forse non sono stato chiaro. «Nei film di Bud Spencer c'è sempre una morale facile da capire: bisogna unire tutte le forze a disposizione (la comunità) per difendere i deboli dai cattivi. Noi, come i compagni di Ettore Fieramosca, con i nostri limiti e difetti, se facciamo squadra possiamo vincere». Ed ora recitiamo la preghiera di san Tommaso Moro contro l'ansia: «Dammi o Signore, una buona digestione ed anche qualcosa da digerire. Dammi la salute del corpo, col buonumore necessario per mantenerla... Dammi un'anima che non conosca la noia, i brontolamenti, i sospiri e i lamenti, e non permettere che io mi crucci eccessivamente per quella cosa troppo invadente che si chiama "io". Dammi, o Signore, il senso dell'umorismo, concedimi la grazia di comprendere uno scherzo, affinché conosca nella vita un po' di gioia e possa farne parte anche ad altri. Amen».

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«Chi è il mio prossimo?».
Uomini imperfetti e turbati dal peccato, da una parte, non siamo certi di ciò che è bene e giusto e, dall’altra, ci capita spesso di non essere pronti a fare il bene. È il motivo per cui Dio ci ha dato i comandamenti: essi ci indicano ciò che è giusto e fanno sentire a ognuno ciò che deve fare. È per questo che gli Ebrei dell’antica Alleanza avevano stabilito un sistema di più di cinquecento comandamenti e divieti, che doveva permettere loro di compiere in tutto la volontà di Dio, perché non avevano più una visione chiara di che cosa fosse assolutamente essenziale agli occhi di Dio e si perdevano nei dettagli. Per i dottori della legge, discutere di gerarchie e di comandamenti era spesso ben più importante delle istituzioni destinate a compiere veramente la volontà di Dio. È ciò che dimostra l’esempio del dottore della legge che cerca di rendere Gesù ridicolo: ponendogli una domanda in apparenza sincera, egli vuole provare che è un teologo dilettante. Ma Gesù non sta al gioco. Costringe il dottore della legge a dare da sé la risposta giusta e gli mostra allora qual è il prossimo che ciascuno deve amare come se stesso: è quello che si trova in miseria ed è bisognoso del nostro aiuto. Si risparmia così ogni discussione saccente attorno al problema di sapere se qualcuno che non è ebreo, oppure è un ebreo peccatore, ha il diritto di aspettarsi il nostro aiuto. Egli va anche più lontano, mostrando che un Samaritano da disprezzare (agli occhi dei dottori della legge) è capace di fare del bene in modo naturale seguendo la voce del suo cuore, mentre due pii Ebrei si disinteressano in modo disdicevole. Non dimentichiamo che Gesù sottolinea ben due volte al dottore della legge: “Agisci seguendo il comandamento principale e meriterai la vita eterna!”.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 10,25-37)

«Chi è il mio prossimo?».
In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Dalla Parola del giorno
Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Farsi prossimi
C'è un uomo. Di lui non si sa nulla, se non il suo cammino: da Gerusalemme a Gerico. Un percorso pericoloso, trenta chilometri di strada e mille di dislivello. Su questo cammino l'uomo incontra i briganti, lo spogliano, lo picchiano, lo lasciano mezzo morto. Così, il Rabbì di Nazareth, introduce uno dei suoi racconti più famosi. Il maestro della legge chiede chi è il suo prossimo, argomento dibattuto tra gli esperti della scrittura. Gesù ribalta il problema. Ciò che conta non è delimitare il confine con chi è prossimo e chi non lo è. La prossimità evangelica non ha steccati, il prossimo non è etichettabile. Passano un sacerdote e un levita. L'uomo mezzo morto rimane lì. Nessuno dei due si ferma. Nessuno dei due si occupa in nessun modo di lui. Sono il fior fiore della società israelita, eppure passano oltre. Non si dice il motivo per cui proseguono il cammino senza fermarsi. Luca vuole creare un forte contrasto con il terzo personaggio. Anche il samaritano passa di lì per caso, come il sacerdote e il levita. E' il personaggio a sorpresa, quello con cui gli ascoltatori sono chiamati a confrontarsi, a prendere come modello. E proprio qui sta la novità: non si tratta di un buon giudeo, laico e attento a quel poveretto in fin di vita. Il Rabbì di Nazareth sorprende e fa entrare in scena, come personaggio chiave, un samaritano eretico, peccatore, odiato. Il racconto di Luca scava a fondo: dove meno te lo aspetti, dove non avresti mai scommesso, né puntato due lire, proprio lì sei invitato a focalizzare il tuo sguardo. Il samaritano diventa modello dell'amore nelle sue declinazioni più concrete. Non si preoccupa dell'identità dello sventurato, gli si va vicino, gli presta il primo soccorso, si prende cura di lui e lo accompagna alla locanda. Mi piace l'accuratezza con cui Luca descrive le cure e l'attenzione del samaritano. C'è una bellezza profonda in quei piccoli gesti, in quella gratuità che anticipa i bisogni e le necessità del ferito. "Chi è stato prossimo?", chiede Gesù. Ecco il ribaltamento. Non ci sono steccati o recinti nei quali riconoscere il prossimo; non è questo il problema. Gesù invita ad abbattere le distanze, a farsi prossimi, ad avere cura di chi hai vicino senza stabilire circonferenze di appartenenza o di esclusione. "Va' e anche tu fa' lo stesso", dice Gesù. Lo dice al dottore della legge, ma pure a te. Coraggio, va', non avere paura! Come il buon samaritano prenditi a cuore le ferite di chi ti sta vicino. Grandi o piccole che siano, ferite del corpo o del cuore, colpevoli o incolpevoli, non passare oltre, non fare finta di non vedere, non dirti che non è compito tuo. Un sorriso, una piccola attenzione, una parola, possono dar vita a prossimità impreviste e inzuppate della presenza di Dio. Ricorda che l'amore è l'unica ricchezza che si moltiplica donandola e condividendola. Più la spendi e più ne sei ricco. Più la condividi e più i tuoi occhi si fanno attenti a scovare nuovi volti da incrociare e nuovi abbracci da riempire. Provare per credere.

Buona Settimana
don Roberto Seregni
Signore Gesù, buon Samaritano universale, fa' che anch'io sappia fermarmi davanti a chi soffre cercando una modalità di incontro. Davanti ai tanti mendicanti che sono sulle nostre strade, aiutami a trovare un gesto che ridoni speranza. Aiutami a non deviare il percorso e a donare almeno un sorriso, una stretta di mano, a chi soffre.

Il samaritano, con la sua compassione e con il suo impegno concreto nel prendersi cura di quest'uomo, sta li a risvegliarci da questa nostra indifferenza che ci rende complici dei briganti. E se neanche Gesù ha voluto dare tante spiegazioni sull'uomo derubato e percosso, anche noi come cristiani non dobbiamo cercare tante spiegazioni e fare troppi ragionamenti preventivi sui poveri del mondo che bussano alle porte dell'Italia e dell'Europa. Non è un invito ad una carità cieca e "a pioggia", ma una scossa a fermarci e prenderci cura delle situazioni di povertà, evitando di passare oltre indifferenti ma, come il samaritano, trasformando l'incontro "per caso" in una nuova fraternità dell'amore.

Ermes Ronchi


Disegno di Sergio Toppi

Il Maestro Divino si è cercato i futuri apostoli, li ha formati, li ha mandati!
E li santificò nella Pentecoste perchè compissero la loro opera (UPS I, 21).

Oggi riflettiamo sulla parabola del buon samaritano (cfr Lc 10,25-37). Un dottore della Legge mette alla prova Gesù con questa domanda: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?» (v. 25). Gesù gli chiede di dare lui stesso la risposta, e quello la dà perfettamente: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso» (v. 27). Gesù allora conclude: «Fa’ questo e vivrai» (v. 28). Questa parabola è uno stupendo regalo per tutti noi, e anche un impegno! A ciascuno di noi Gesù ripete ciò che disse al dottore della Legge: «Va’ e anche tu fa’ così» (v. 37). Siamo tutti chiamati a percorrere lo stesso cammino del buon samaritano, che è figura di Cristo: Gesù si è chinato su di noi, si è fatto nostro servo, e così ci ha salvati, perché anche noi possiamo amarci come Lui ci ha amato, allo stesso modo.

Udienza generale - Mercoledì, 27 aprile 2016

C'era una volta un giovane in mezzo a una piazza gremita di persone: diceva di avere il cuore più bello del mondo, o quantomeno della vallata. Tutti quanti gliel'ammiravano: era davvero perfetto, senza alcun minimo difetto. Erano tutti concordi nell'ammettere che quello era proprio il cuore più bello che avessero mai visto in vita loro, e più lo dicevano, più il giovane s'insuperbiva e si vantava di quel suo cuore meraviglioso. All'improvviso spuntò fuori dal nulla un vecchio, che emergendo dalla folla disse: "Beh, a dire il vero.. il tuo cuore è molto meno bello del mio." Quando lo mostrò, aveva puntàti addosso gli occhi di tutti: della folla, e del ragazzo. Certo, quel cuore batteva forte, ma era ricoperto di cicatrici. C'erano zone dove dalle quali erano stati asportàti dei pezzi e rimpiazzàti con altri, ma non combaciavano bene - così il cuore risultava tutto bitorzoluto. Per giunta, era pieno di grossi buchi dove mancavano interi pezzi. Così tutti quanti osservavano il vecchio, colmi di perplessità, domandandosi come potesse affermare che il suo cuore fosse bello. Il giovane guardò com'era ridotto quel vecchio e scoppiò a ridere: "Starai scherzando!", disse. "Confronta il tuo cuore col mio: il mio è perfetto, mentre il tuo è un rattoppo di ferite e lacrime." "Vero", ammise il vecchio. "Il tuo ha un aspetto assolutamente perfetto, ma non farei mai a cambio col mio. Vedi, ciascuna ferita rappresenta una persona alla quale ho donato il mio amore: ho staccato un pezzo del mio cuore e gliel'ho dato, e spesso ne ho ricevuto in cambio un pezzo del loro cuore, a colmare il vuoto lasciato nel mio cuore. Ma, certo, ciò che dai non è mai esattamente uguale a ciò che ricevi - e così ho qualche bitorzolo, a cui sono affezionato, però: ciascuno mi ricorda l'amore che ho condiviso. Altre volte invece ho dato via pezzi del mio cuore a persone che non mi hanno corrisposto: questo ti spiega le voragini. Amare è rischioso, certo, ma per quanto dolorose siano queste voragini che rimangono aperte nel mio cuore, mi ricordano sempre l'amore che provo anche per queste persone.. e chissà? Forse un giorno ritorneranno, e magari colmeranno lo spazio che ho riservato per loro. Comprendi, adesso, che cosa sia la VERA bellezza?" Il giovane era rimasto senza parole, e lacrime copiose gli rigavano il volto. Prese un pezzo del proprio cuore, andò incontro al vecchio, e gliel'offrì con le mani che tremavano. Il vecchio lo accettò, lo mise nel suo cuore, poi prese un pezzo del suo vecchio cuore rattoppato e con esso colmò la ferita rimasta aperta nel cuore del giovane. Ci entrava, ma non combaciava perfettamente, faceva un piccolo bitorzolo. Il giovane guardò il suo cuore, che non era più "il cuore più bello del mondo", eppure lo trovava più meraviglioso che mai: perché l'amore del vecchio ora scorreva dentro di lui.

(storiella indiana)

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