Cuore: differenze tra Sesso e Genere in Medicina

DI MARIA GRAZIA MODENA*

L’Organizzazione mondiale della sanità (O.M.S.) nel 1947 ha definito la salute come “stato di benessere fisico, psichico e relazionale”, di conseguenza nel momento in cui uno di questi tre elementi è alterato si può rilevare lo stato di “malattia”. In quest’ottica la salute femminile deve essere sempre più oggetto di un’attenzione politica e sociale. Il doppio lavoro, la propensione femminile ad occuparsi prima dei bisogni e della salute degli altri, e poi di quelli propri, un interesse per la salute femminile prevalentemente circoscritto agli aspetti riproduttivi, la limitata partecipazione delle donne agli studi clinici sui nuovi farmaci: sono tutti fattori che dimostrano come le donne siano ancora svantaggiate rispetto agli uomini nella tutela della loro salute. Peraltro, vivendo più a lungo degli uomini, le donne sono anche maggiormente soggette a patologie di tipo cronico, consumano più farmaci e svolgono un ruolo importante all’interno della famiglia nell’assicurare le cure giuste per il partner e per i figli. Le donne, inoltre, sono sottoposte a condizionamenti di vario genere (di tipo familiare, lavorativo, mediatico, ecc) che ne limitano la libertà di azione. Perché “genere" e salute della donna? In tutte le culture e i continenti le donne controllano meno potere e minori risorse economiche degli uomini. Questo dà agli uomini, come conseguenza, un vantaggio economico, politico, educativo, ma anche per ciò che riguarda la salute e l’utilizzazione del sistema sanitario.

Molti professionisti della sanità sono convinti oggi che le disparità dovute a fattori socio economici, nonché culturali legate al sesso hanno portato ad una non adeguata valutazione e negligenza nei confronti della salute delle donne. Povertà e dipendenza economica, violenza, atteggiamenti negativi e altre forme di discriminazioni, infertilità, mancanza di influenza nei momenti decisionali, sono tutti fattori che hanno un impatto negativo sulla loro salute. Le donne alle volte hanno diversi e non equi accessi ai servizi sanitari pubblici di base, nonostante li utilizzino più degli uomini.

Tutto questo conduce alla necessità di dover porre una grande attenzione nei confronti della salute in termini di differenza di “genere” e le malattie cardiovascolari rappresentano forse il campo che più  necessita di interventi nel campo della prevenzione,della diagnosi e della terapia. Per troppo tempo, infatti, si è applicato un modello maschile alle malattie di cuore che,  insieme all’ictus cerebrale, rappresentano la principale causa di mortalità e invalidità nel mondo occidentale sia negli uomini che nelle donne. Esse uccidono complessivamente più di 500.000 donne americane all’anno, pari al 41.3% delle morti tra il sesso femminile, tre volte più di tutti i tipi di cancro messi assieme. In Italia le donne che ogni anno muoiono per malattie cardiovascolari sono circa 120.000 e, nonostante questa evidenza, si tende a considerare ancora tale condizione specifica del sesso maschile. Anzi si suole dire che il maggior fattore di rischio cardiovascolare della donna (definito anche il paradosso femminile) è la sua mancata consapevolezza di essere a rischio come o più dell’uomo. Per molti anni, infatti, lo studio della malattia coronarica e dei suoi fattori di rischio ha interessato prevalentemente gli uomini, data la maggiore frequenza della malattia in età media, la comparsa in età più giovane rispetto alla donna e l’elevata letalità. La presa di coscienza della diversa realtà dell’universo femminile comincia circa 25 anni fa quando Bernardine Healy nel 1991 scrisse un famoso editoriale sul New England Journal of Medicine dal titolo “The Yentl Syndrome” commentando due studi che riportavano come le donne affette da coronaropatia fossero curate meno e ricevessero interventi meno risolutivi e aggressivi rispetto agli uomini. Chi era Yentl? Era una ragazzina Ebrea che volendo, e non potendo in quanto femmina, studiare da Rabbino, si rasò il capo a zero e si vestì da maschio.

L’articolo era chiaramente di tipo provocatorio da parte, peraltro, della prima donna a capo del più prestigioso Ministero della Salute del mondo, l’US National Institute of Health ed ebbe enorme risonanza sulla stampa scientifica come pure sui media. Mentre il quotidiano tedesco “Der Spiegel” accusava i cardiologi di essere maschilisti e “sexisti”, la maggior parte della stampa scientifica imputava la minor aggressività terapeutica al fatto che la donna quando è affetta da coronaropatia è più anziana e con maggiori comorbilità. Il nostro punto di vista è che l’età è sicuramente un fattore condizionante, ma non rappresenta la radice del problema e che la Sindrome di Jentl sia spiegabile col fatto che la malattia aterosclerotica è diversa nei due sessi. La donna infatti ha delle proprie peculiarità di tipo biologico-ormonale, delle diverse caratteristiche anatomiche dei vasi, una massa magra e una massa grassa diverse, con conseguenze che condizionano lo sviluppo della malattia e la risposta ai farmaci. E’ difficile pertanto asserire in modo assoluto i dati dei grandi studi siano applicabili alle donne, ma su questo gioca un’importante variabile, vale a dire l’assenza o la scarsa rappresentanza delle donne negli stessi. Ma qui il gioco si fa ancora più duro, i grandi studi sulla terapia dell’infarto, dell’ipertensione si sono fatti sui Veterani delle guerre americane, notoriamente nella totalità uomini. Ma si va oltre, basti pensare che il primo studio sulla potenzialità degli estrogeni, in terapia sostitutiva,di proteggere l’apparato cardiovascolare, sono stati fatti negli uomini, con catastrofiche conseguenze in termini di tumori e di femminilizzazione.

Ci sono altri dati che dimostrano che la donna è ancora troppo sottovalutata quando è affetta da malattia coronarica: la diagnosi è sottostimata e si definisce atipico il dolore nella donna facendo ritenere che la dizione tipica è stata coniata sul modello maschile. La donna infatti ha più spesso sintomi neurovegetativi, nausea, dispnea, dolore alla schiena, a entrambe le braccia posteriormente. Ne consegue che il ricovero è più spesso tardivo, meno frequentemente avviene in terapia intensiva coronarica, il che rende meno efficaci le terapie. Dal Pronto Soccorso si ricovera molto più spesso un uomo con dolore toracico in un reparto di Cardiologia e una donna in un reparto di Medicina Generale. Molto più spesso si crede al dolore maschile mentre si interpreta il dolore femminile come sindrome ansioso-depressiva. I farmaci utilizzati nell’uomo, desunti dai grandi trials (studi internazionali con grande numerosità campionaria ed incontestabile rigore scientifico), testati sperimentalmente nel ratto maschio e clinicamente nell’uomo (bianco) di media età, hanno dimostrato effetti collaterali indesiderati nella donna, che ha notoriamente una superficie corporea minore, vasi periferici e coronarici più piccoli, una diversa composizione in massa magra e massa grassa e pertanto anche un diverso tipo di assorbimento delle sostanze terapeutiche. Inoltre la donna possiede quella che si dice una super-espressione di un enzima del fegato,deputato al metabolismo dei farmaci, che determina una sua esclusiva intolleranza a certi farmaci. A causa di questo”cattivo enzima”, la donna ha tipicamente molti più effetti collaterali (indesiderati) ai farmaci rispetto all’uomo: tosse stizzosa con l’uso degli Ace-inibitori (19% nella donna, 6% nell’uomo), inestetico e fastidioso edema (gambe pesanti e gonfie) con certi calcio antagonisti (15% nelle donne, 5% negli uomini). Entrambe eccellenti categorie di farmaci di ampio uso nella cura dell’ipertensione e di molte altre affezioni cardiovascolari.

Il punto focale è che la malattia aterosclerotica è diversa nei due sessi, inizia precocemente nell’uomo e precipita, accelerata, dopo la menopausa nella donna. Le placche aterosclerotiche sono diverse nei due sessi a dimostrare che una differenza biologico-ormonale caratterizza il genere. Le placche cominciano a formarsi intorno ai 25-30 anni nei nostri vasi, ma (e qui giocano un ruolo importante i fattori genetici (ovvero stiamo attenti alle malattie che hanno colpito i nostri più stretti parenti prima dei 55 anni, se uomini, e prima dei 65 anni, se donne) e i fattori di rischio (diabete, fumo, ipertensione, obesità, sedentarietà, elevato colesterolo nel sangue). Ma queste placche vanno maturando lentamente nei vasi maschili, permettendo al cuore di prepararsi, mentre subiscono un’accelerazione troppo rapida nei vasi coronarici femminili, e il cuore della donna, quando si chiude l’ombrello protettivo degli estrogeni (leggi menopausa), che le ha garantito l’immunità, risulta impreparato e, spesso, non subisce bene il colpo.

 

*Cattedra di Cardiologia – UNIMORE - Centro PASCIA – AOU Policlinico di Modena

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