Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

Oggi, seconda domenica di maggio, in Italia e in molti altri Paesi, si celebra la festa della mamma, un omaggio a chi ha generato la nostra vita e l'ha accudita fino al momento di spiccare il volo dal nido. Sapendo di stuzzicarlo, ho chiesto al Gallo del mattino: <<Secondo te, è nato prima l'uovo o la gallina?>>. La sua risposta è nel cerotto che porto in fronte per una fulminea beccata. <<Secondo te, è nato prima lo stupido o la stupidera?>> Me ne ha messi di cerotti mia madre, quand'ero ragazzino. In fronte, sul mento, alle ginocchia. <<Non ero un ragazzino proprio tranquillo>>, dico al Gallo che mi guarda perplesso. Più avanti negli anni, sempre lei, mi ha applicato altri cerotti, fatti di sguardi, di parole, di presenza, di testimonianze, che uso ancora, ora che non c'è più. La madre non è l'uovo da cui siamo nati, l'amica, la moglie, la professoressa, l'infermiera, non è quella giuliva che appare in TV e fa la pubblicità, né la donna dei sogni. La mamma è la più bella donna del mondo, innocente. È perfetta con tutti i suoi difetti. Non sbagliamo quando diciamo che ce n'è una sola. Amarcord. Avevo trent'anni quando ho avuto un brutto incidente d'auto che mi ha costretto parecchi mesi a letto, ingessato. Mia madre è venuta nell'infermeria del seminario e non si è più mossa, fino a che non mi ha visto di nuovo camminare, claudicante, ma con le mie gambe. Quei giorni non li dimentico, perché abbiamo recuperato insieme il tempo degli studi vissuto lontano da casa, da lei. <<E dai, non fare il romantico, raccontala tutta>>, mi fa il Gallo. E va bene. Nei giorni di malattia ho imparato a dire il Rosario con lei, puntuale alle ore 18:00, non come lo dicevo prima in modo monotono. E se parliamo di Rosario parliamo di Myriam, la mamma di Gesù. Siamo a maggio, giusto appunto nel mese delle rose, a lei dedicato dalla pietà popolare. Myriam, generando Gesù ha generato tutti noi alla vita senza fine. Se parliamo di Lei, davvero possiamo dire che di mamma ce n'è una sola. Eva, che aveva generato Caino e Abele, non se l'era cavata granché bene, ma era solo una profezia “offuscata” della madre di Gesù. La data di domani, 13 maggio, mi riporta a Cova di Iria, a Fatima (Portogallo). Sappiamo dei tre pastorelli, Lucia, Giacinta e Francesco, che videro e sentirono la bella Signora discesa dal cielo, che li incontrò per sei volte, sempre il 13 di ogni mese, fino al 13 di ottobre, quando avvenne il “miracolo del sole” (1917). Rivelò loro i segreti sulla salvezza dell'umanità, della Chiesa, del Papa, mentre divampava la Prima Guerra mondiale. Ciò che essi raccontavano era inattendibile, erano ragazzi, e ignoranti. E noi, incerottati come siamo, siamo forse più attendibili di loro? <<Fatto sta, che la Madonna è venuta sulla Terra ancora una volta in nostro soccorso>>, ribadisce il Gallo del mattino. <<Prendi dalle sue mani il cerotto dell'amore di Dio per curare le tue e altrui ferite e recita un'Ave Maria>>. Ricevuto, passo e chiudo.
At salut.

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«Viene Alle mie pecore io do la vita eterna».
Donandoci, per mezzo del battesimo, di far parte della Chiesa, Gesù ci assicura di conoscerci uno per uno. La vocazione battesimale è sempre personale, e richiede una risposta di responsabilità in prima persona. Ci sentiamo sicuri, nella Chiesa, perché Gesù è sempre con noi, e ci chiama e ci guida con la voce esplicita del Papa e con i suggerimenti interiori che ci aiutano a riconoscerla e a corrispondervi. Se restiamo nella Chiesa, con il Papa, non andremo mai dispersi, perché Gesù ci conosce per nome e ha dato la sua vita per salvarci. Quella vita che si comunica a noi, pegno di eternità, nell’Eucaristia degnamente ricevuta. Non dobbiamo aver paura di nulla. Attraverso Gesù entriamo in comunione con il Padre, partecipiamo alla vita trinitaria. I pericoli esterni non ci turbano: dobbiamo temere soltanto il peccato che ci seduce a trovare altre vie, lontane dal percorso del gregge guidato da Gesù. La nostra personale fedeltà alla voce del Pastore contribuisce all’itinerario di salvezza che la Chiesa guida nel mondo, e da essa dipende la nostra felicità.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 10,27-30)

«Viene Alle mie pecore io do la vita eterna».
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola»

Dalla Parola del giorno
«Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono».

Nella mano di Dio
La quarta di Pasqua è detta, tradizionalmente, la "Domenica del Buon Pastore", dato il brano del Vangelo, che è sempre tratto dal capitolo X di Giovanni, nel quale Gesù si presenta come il vero pastore del popolo. Per l'evangelista Luca, Gesù è il buon pastore che va alla ricerca della pecora smarrita, se la carica in spalla, fa festa con gli amici... (Lc 15,4-7): è un pastore dal cuore misericordioso. Questa immagine carica di tenerezza si completa con quella di Giovanni, che presenta un pastore attento ed energico nel difendere le pecore dai banditi e dagli animali feroci, deciso a lottare fino a dare la vita per il gregge. Seguimi, ha detto il Risorto a Pietro. Seguimi come sei, con la tua fragilità, con le tue paure, con i tuoi slanci e le tue cadute. Seguimi, fidati, perdonati i tuoi tradimenti, lasciati raggiungere, lasciati amare. Seguimi, ha detto il Risorto a Pietro e lo dice, oggi, a ciascuno di noi. Come il focoso ex-pescatore di Cafarnao, anche noi siamo chiamati a ricentrare la vita su di Lui, il Risorto, il pastore. Ci sono delle occasioni della vita in cui ci sembra davvero di essere strappati a noi stessi, di perdere ogni riferimento, di soffocare. Una malattia, un fallimento, un litigio, un allontanamento e tutto cade, tutto si svuota. Gesù, oggi, ci lancia un messaggio di speranza e di bellezza. Dalla Sua mano nessuno potrà rapirci. Sì, c'è un posto sicuro, c'è un accoglienza gratuita, c'è una custodia affidabile. Per te. Spesso lo diciamo: "Siamo nelle mani di Dio!". Ma ci crediamo davvero? Davvero affidiamo la nostra vita alle Sue mani? Mi viene in mente l'avventura della liberazione di Israele: "Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire con mano potente" (Es 6,21). Questa mano, quella che liberò dalla schiavitù i figli di Abramo, è la mano che si prende cura di noi. Di che cosa possiamo aver paura? Cosa può farci stare in ansia? Anche noi abbiamo le nostre schiavitù: un relazione che non funziona, un lato del nostro carattere che rischia di essere troppo ingombrante nella relazione di coppia, una passione che può diventare un vizio, un passo che non riusciamo a compiere... Quella mano può salvarci da tutto questo, può ridarci quella libertà che ci permette di essere uomini e donne autentici e felici. Mi viene in mente il profeta Isaia: "Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se costoro si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, sulle palme delle mie mani ti ho disegnato" (Is 49,15-16). Il nostro nome sta su quella mano, come un tatuaggio indelebile, come un ricordo eterno. Siamo radicati in Lui, piantati nella sua mano, custoditi dalla sua potente tenerezza. Animo, fratelli! Il Signore è Risorto, è vivo in mezzo a noi e ci promette che la nostra vita, tutto di noi, è al sicuro nelle sue mani.

Buona Settimana
don Roberto Seregni
Conducimi dove vuoi, Signore, e dammi la tua pace. Tu sei il mio Pastore, non temo nulla quando sono con te. Tu sei l'Agnello, immolato per la mia salvezza. Grazie, Signore, perché sono stretto forte dalle tue mani e dalle mani del Padre. Nessuno mi potrà mai strappare da te. Conducimi tu, Gesù bel pastore, ai pascoli fiorenti della pace con me stesso. Guidami alle floride valli della riconciliazione con la mia condizione umana. Educami tu Gesù, alla convinzione di essere: agnello da svezzare, pecora da condurre, pastore da formare, per il bene della mia vita e per il bene di quanti mi affidi. Grazie Gesù buon e bel pastore che affascinante attrai, perché volontariamente ti sei consegnato alla morte, grandezza del dono, deponendo la tua vita come le vesti, sostituendoti al gregge.
La grande esperienza degli apostoli fu il mondo. Il Risorto li ha mandati! Li mandava per cambiare il mondo, per farlo diverso, per convertirlo, per portare l'amore. Il Risorto li spingeva fuori: "Io sono con voi... ma adesso andate voi". Finché c'era Gesù gli apostoli dicevano: "C'è Lui". Finché c'era Gesù rimanevano piccoli, non adulti. Ma adesso Lui non c'è più e tocca a loro andare. E... andando gli apostoli scoprirono che davvero ne avevano le capacità. Perché finché non provi non sai; finché non fai, finché non ti butti dentro, non puoi sapere di averne la capacità. E' il padre che ti introduce nel mondo. Perché il padre ti deve insegnare: "Figlio mio tu hai la forza per vivere e per plasmare il mondo". Devi uscire e non aver paura del mondo, di confrontarti e di batterti. Una società senza padri è una società di uomini molluschi, marmellata, pongo. Di uomini che vivranno nella paura della propria ombra. E' il padre che ti porta all'asilo, a fare sport, che ti insegna le regole di vita sociale; è lui che ti deve dire: "Provaci! Dai, fallo! Meglio sbagliare che non provarci!". E' il padre che va a scuola (dovrebbe!) perché è lui che si interessa della vita sociale del figlio. E' il padre che ti mette il gusto per la politica, per cambiare il mondo, per la giustizia, per l'equità.

Disegno di Sergio Toppi

Gesù non cominciò il ministero pubblico col predicare; lo cominciò col fars i discepoli. Li cercò lungo il lago, li invitò: vennero Giacomo, Giovanni, Andrea, Pietro, Filippo, ecc... Così questi, quando alle nozze di Cana videro il prodigio, l'acqua cambiata in vino, credettero. (UPS I,85).

La nostra vita è pienamente al sicuro nelle mani di Gesù e del Padre, che sono una sola cosa: un unico amore, un’unica misericordia, rivelati una volta per sempre nel sacrificio della croce. Per salvare le pecore smarrite che siamo tutti noi, il Pastore si è fatto agnello e si è lasciato immolare per prendere su di sé e togliere il peccato del mondo. In questo modo Egli ci ha donato la vita, ma la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10)! Questo mistero si rinnova, in una umiltà sempre sorprendente, sulla mensa eucaristica. È lì che le pecore si radunano per nutrirsi; è lì che diventano una sola cosa, tra di loro e con il Buon Pastore.

Al Regina cœli - Piazza San Pietro - Domenica, 17 aprile 2016

La vecchia zia Ada, quando fu molto vecchia, andò ad abitare al ricovero dei vecchi, in una stanzina con tre letti, dove già stavano due vecchine, vecchie quanto lei. La vecchia zia Ada si scelse subito una poltroncina accanto alla finestra e sbriciolò un biscotto secco sul davanzale. - Brava, così verranno le formiche, - dissero le altre due vecchine, stizzite. Invece dal giardino del ricovero venne un uccellino, beccò di gusto il biscotto e volò via. - Ecco, - borbottarono le vecchine, - che cosa ci avete guadagnato? Ha beccato ed è volato via. Proprio come i nostri figli che se ne sono andati per il mondo, chissà dove, e di noi che li abbiamo allevati non si ricordano più. La vecchia zia Ada non disse nulla, ma tutte le mattine sbriciolava un biscotto sul davanzale e l'uccellino veniva a beccarlo, sempre alla stessa ora, puntuale come un pensionante, e se non era pronto bisognava vedere come si innervosiva. Dopo qualche tempo l'uccellino portò anche i suoi piccoli, perché aveva fatto il nido e gliene erano nati quattro, e anche loro beccarono di gusto il biscotto della vecchia zia Ada, e venivano tutte le mattine, e se non lo trovavano facevano un gran chiasso. - Ci sono i vostri uccellini, - dicevano allora le vecchine alla vecchia zia Ada, con un po' d'invidia. E lei correva, per modo di dire, a passettini passettini, fino al suo cassettone, scovava un biscotto secco tra il cartoccio del caffè e quello delle caramelle all'anice e intanto diceva: - Pazienza, pazienza, sono qui che arrivo. - Eh, - mormoravano le altre vecchine, - se bastasse mettere un biscotto sul davanzale per far tornare i nostri figli. E i vostri, zia Ada, dove sono i vostri? La vecchia zia Ada non lo sapeva più: forse in Austria, forse in Australia; ma non si lasciava confondere, spezzava il biscotto agli uccellini e diceva loro: - Mangiate, su, mangiate, altrimenti non avrete abbastanza forza per volare. E quando avevano finito di beccare il biscotto: - Su, andate, andate. Cosa aspettate ancora? Le ali sono fatte per volare. Le vecchine crollavano il capo e pensavano che la vecchia zia Ada fosse un po' matta, perché vecchia e povera com'era aveva ancora qualcosa da regalare e non pretendeva nemmeno che le dicessero grazie. Poi la vecchia zia Ada morì, e i suoi figli lo seppero solo dopo un bel po' di tempo, e non valeva piú la pena di mettersi in viaggio per il funerale. Ma gli uccellini tornarono per tutto l'inverno sul davanzale della finestra e protestavano perché la vecchia zia Ada non aveva preparato il biscotto.
Gianni Rodari

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