Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

Domenica 15 febbraio, III di Quaresima 2020, Papa Francesco è uscito nel pomeriggio per le strade deserte di Roma ed è andato a pregare a Santa Maria Maggiore, invocando la Madonna «Salus Populi Romani» per la salute dell'Italia e del mondo. Poi si è recato alla chiesa di San Marcello al Corso, a venerare il Crocifisso che nel 1522 fu portato in processione per vie di Roma per guarire dalla peste. Non è stata una sfida alle restrizioni vigenti per farsi una passeggiata, ma un segno di vicinanza ai fedeli di Roma. All'Angelus, Papa Francesco aveva ricordato il gesto dell’arcivescovo di Milano, Mario Delpini, in preghiera sul tetto del Duomo per chiedere la protezione della Madonnina. «I preti sanno che non devono fare come don Abbondio. Di fronte all’emergenza del corona virus; ci si deve inventare di tutto per stare vicino al popolo perché nessuno si senta abbandonato, non perda la fiducia». Una lezione manzoniana ai pastori renitenti alla creatività pastorale, e a quelli che per paura del lupo si nascondono dietro la propria tonaca da prete. Il Gallo del mattino ed io, perciò, abbiamo deciso di fare qualcosa. Creare il manuale per una pastorale di emergenza. La Chiesa del resto è un ospedale da campo. Siamo partiti dalla comunicazione. I canali di comunicazione sono inattaccabili dal corona virus, e finalmente stanno rivelando la loro utilità sociale inviandoci messaggi positivi: «Andrà tutto bene!». Il beato Don Alberione, che ne sapeva di comunicazione e di pastorale, diceva «fate a tutti la carità della verità», cioè annunciate Cristo al mondo attraverso i mezzi moderni della comunicazione. Il Papa, San Paolo VI, gli faceva eco: «Voi Paolini predicate Dio incartato»: nei giornali, nei libri, nella radio, nella televisione, in tutti i mezzi moderni di comunicazione. Il Gallo sbatte i bargigli: «Va bene. Questa è mistica, è teoria, ma in pratica i pastori d'anime cosa possono fare?». La butto lì. Scacco matto al Covid-19 in cinque mosse: 1. - Imparare a trasmettere le cerimonie religiose in streaming (la visione è destinata ai computer, ai telefonini, agli smart phone). Chi fosse in difficoltà “tecnica” si faccia aiutare dai giovani della Parrocchia (la settimana santa è in arrivo). 2. - Usare il proprio sito-web per commentare in audio e video la Parola di Dio (la quaresima è un tempo favorevole). 3. - Organizzare una squadra di «postini di Dio» per i «foglietti della messa domenicale», non utilizzati per la messa sospesa, da imbucare nelle cassette della posta del proprio territorio (è una buona pubblicità). 4. - Raccogliere con metodo gli indirizzi di posta elettronica dei parrocchiani, per uso pastorale e servizio sociale, con la liberatoria a salvaguardia della privacy. 5. - Creare un call center con un numero verde, o un numero dedicato, per ricevere chiamate 24/24h e dare risposte a tutti. «Pennuto, che te ne pare?». «Bah, aspetterei il giudizio dei lettori». Lo immaginavo. Nemmeno un cenno di ali per esprimere un minimo di consenso.

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«Andò, si lavò e tornò che ci vedeva».
La “luce” è uno dei simboli originali delle Sacre Scritture. Essa annuncia la salvezza di Dio. Non è senza motivo che la luce è stata la prima ad essere creata per mettere un termine alle tenebre del caos (Gen 1,3-5). Ecco la professione di fede dell’autore dei Salmi: “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura?” (Sal 28,1). E il profeta dice: “Alzati, Gerusalemme, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te” (Is 60,1). Non bisogna quindi stupirsi se il Vangelo di san Giovanni riferisce a Gesù il simbolo della luce. Già il suo prologo dice della Parola divina, del Logos: “In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta” (Gv 1,4-5). La luce è ciò che rischiara l’oscurità, ciò che libera dalla paura che ispirano le tenebre, ciò che dà un orientamento e permette di riconoscere la meta e la via. Senza luce, non c’è vita. Il racconto della guarigione del cieco è una “storia di segni” caratteristica di san Giovanni. Essa mette in evidenza che Gesù è “la luce del mondo” (v. 5, cf. 8, 12), che egli è la rivelazione in persona e la salvezza di Dio - offerte a tutti.

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 9,1-41)

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e làvati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so». Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

Parola del Signore.

Dalla Parola del giorno
«Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».

La luce del mondo
Ho avuto la fortuna di trascorrere la scorsa settimana ospite del Sacro Eremo di Camaldoli. Con due amici sacerdoti abbiamo condiviso i tempi di preghiera dei monaci dell'Eremo, lasciandoci guidare dalla loro liturgia sobria e pungente, dai lunghi tempi di silenzio e dalla bellezza disarmante dei paesaggi dalla foresta di Camaldoli. Rileggendo il brano di Giovanni che la liturgia ci propone in questa nuova domenica del percorso quaresimale, mi è venuto spontaneo pensare agli eremiti che ho conosciuto pochi giorni fa. Più di tutto, più della sobrietà della loro vita, del silenzio, della radicalità, delle lunghe ore di preghiera, mi ha colpito il loro sguardo. Pulito, limpido, cristallino. Mi è venuto spontaneo pensare che per quel cieco Gesù abbia sognato uno sguardo così. Per leggere correttamente il brano del cieco nato, penso sia importante chiarire che qui si sta parlando di me e non degli altri. Io sono quel cieco. Io che leggo e mi faccio raggiungere da questa Parola sono quel cieco. Io che continuo a sbattere nel buio delle mie tristezze ammuffite e non accetto di aprire porte e finestre per far entrare la Sua luce. Io che sto per annegare nelle mie fatiche e continuo a pretendere di salvarmi tirandomi su per i capelli, piuttosto che chiedere aiuto. Io, se ho il coraggio della verità, sono quel cieco che si lascia guarire. Strano gesto quello di Gesù: "sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco" (v.6). E' il fango della nuova creazione, fatto con la terra e il respiro stesso del Figlio di Dio. C'è un nuovo impasto, un compimento, una perfezione riportata all'origine della sua bellezza. Ma la cosa straordinaria è che questo gesto non guarisce il cieco all'istante! L'opera di Gesù non è magica o automatica, ma richiede la partecipazione attiva del cieco: "Và a lavarti nella piscina di Sìloe" (v.7). Nelle mani di Gesù non siamo dei burattini invertebrati da pilotare e manovrare. La fede non nasce da una semplice reazione chimica tra la sua grazia e mia miseria. C'è bisogno di una risposta libera al progetto liberante di Dio. Se il cieco non avesse accettato di correre alla piscina di Sìloe per lavarsi, sarebbe stato solo un cieco con gli occhi pieni di fango! Allora coraggio, cari amici! Lasciamo che la potenza della Parola strappi la cecità ai nostri occhi. Lasciamo che la luce di Cristo illumini l'ombra che ci abita, schiarisca le nebbie delle nostre mediocrità.

Buon domenica
don Roberto Seregni

Grazie Gesù, perché ti accorgi della mia miseria, non guardi da un'altra parte. Tuo interesse è vedere la mia malattia: il mio bisogno di luce, di capire, d'essere guarito, di salvezza. Grazie per la tua compagnia che m'allontana dalla solitudine e dall'isolamento. Pietà di me superbo, Signore Gesù, per tutte le volte che mendicante, non manifesto il mio bisogno, mancando di fede. Pietà per tutte le volte che cieco, credo di vedere. Pietà per la mia presunzione. Pietà per tutte le volte che mi sono cullato nell'accattare, facendo la vittima della situazione.
La storia di questo cieco rompiscatole è un vero itinerario di fede. Non una fede basata su ragionamenti astratti. E' una fede che nasce da una esperienza concreta di guarigione, e che viene poi provata dallo scontro e dalle tensioni della vita, e infine arriva alla professione di fede (Ed egli disse: «Credo, Signore!») Forse in questo cieco posso vedere un po' di me stesso. In questo cieco vedo il mio cammino di cristiano. Mi vedo nella mia ricerca continua di fare esperienza concreta di Dio e di sentire davvero il suo amore. Vedo in questo cieco che "lotta" con i suoi avversari (più ciechi di lui!) la mia lotta quotidiana per tenere salda la fede che ho ricevuto. Vedo in questo cieco che incontra di nuovo Gesù, il mio desiderio di dire "io credo" non in modo formale e "di facciata", ma in modo vero e profondo. Solo così, come questo cieco, divento una luce accesa che riesce ad illuminare chi si avvicina a me. "Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce..." (San Paolo agli Efesini, cap. 5)

Disegno di Sergio Toppi

Il settimo comandamento va pure unito al voto di povertà: distaccare il cuore anche dalle cose piccole e distaccarlo anche dalla stessa vita. Rimettersi in Dio per il giorno in cui egli può chiamarci e senza contare se abbiamo molti o pochi anni, perchè vedete quante volte il Signore chiama anche persone che sembrano floride in salute (AAP57, 74).

“La nostra vita a volte è simile a quella del cieco che si è aperto alla luce, che si è aperto a Dio, che si è aperto alla sua grazia. A volte purtroppo è un po’ come quella dei dottori della legge: dall’alto del nostro orgoglio giudichiamo gli altri, e perfino il Signore! Oggi, siamo invitati ad aprirci alla luce di Cristo per portare frutto nella nostra vita, per eliminare i comportamenti che non sono cristiani; tutti noi siamo cristiani, ma tutti noi, tutti, alcune volte abbiamo comportamenti non cristiani, comportamenti che sono peccati. Dobbiamo pentirci di questo, eliminare questi comportamenti per camminare decisamente sulla via della santità. Essa ha la sua origine nel Battesimo. Anche noi infatti siamo stati “illuminati” da Cristo nel Battesimo, affinché, come ci ricorda san Paolo, possiamo comportarci come «figli della luce» (Ef 5,8), con umiltà, pazienza, misericordia”.

Piazza San Pietro - IV Domenica di Quaresima, 30 marzo 2014

L’incontro (Bruno Ferrero)

"Ebbi lo scompartimento del treno tutto per me. Poi salì una ragazza", raccontava un giovane indiano cieco. "L'uomo e la donna venuti ad accompagnarla dovevano essere i suoi genitori. Le fecero molte raccomandazioni. Dato che ero già cieco allora, non potevo sapere che aspetto avesse la ragazza, ma mi piaceva il suono della sua voce". "Va a Dehra Dun?", chiesi mentre il treno usciva dalla stazione. Mi chiedevo se sarei riuscito a impedirle di scoprire che non ci vedevo. Pensai: se resto seduto al mio posto, non dovrebbe essere troppo difficile. "Vado a Saharanpur", disse la ragazza. "Là viene a prendermi mia zia. E lei dove va?". "A Dehra Dun, e poi a Mussoorie", risposi. "Oh, beato lei! Vorrei tanto andare a Mussoorie. Adoro la montagna. Specialmente in ottobre". "Si è la stagione migliore", dissi, attingendo ai miei ricordi di quando potevo vedere. "Le colline sono cosparse di dalie selvatiche, il sole è delizioso, e di sera si può star seduti davanti al fuoco a sorseggiare un brandy. La maggior parte dei villeggianti se n'è andata, e le strade sono silenziose e quasi deserte". Lei taceva, e mi chiesi se le mie parole l'avessero colpita, o se mi considerasse solo un sentimentaloide. Poi feci un errore. "Com'è fuori?" chiesi. Lei però non sembrò trovare nulla di strano nella domanda. Si era già accorta che non ci vedevo? Ma le parole che disse subito dopo mi tolsero ogni dubbio. "Perché non guarda dal finestrino?", mi chiese con la massima naturalezza. Scivolai lungo il sedile e cercai col tatto il finestrino. Era aperto, e io mi voltai da quella parte fingendo di studiare il panorama. Con gli occhi della fantasia, vedevo i pali telegrafici scorrere via veloci. "Ha notato", mi azzardai a dire "che sembra che gli alberi si muovano mentre noi stiamo fermi?". "Succede sempre così", fece lei. Mi girai verso la ragazza, e per un po' rimanemmo seduti in silenzio. "Lei ha un viso interessante", dissi poi. Lei rise piacevolmente, una risata chiara e squillante. "E' bello sentirselo dire", fece. "Sono talmente stufa di quelli che mi dicono che ho un bel visino!". "Dunque, ce l'hai davvero una bella faccia" , pensai, e a voce alta proseguii: "Beh, un viso interessante può anche essere molto bello". "Lei è molto galante", disse. "Ma perché è così serio?". "Fra poco lei sarà arrivata", dissi in tono piuttosto brusco. "Grazie al cielo. Non sopporto i viaggi lunghi in treno". Io invece sarei stato disposto a rimaner seduto lì all'infinito, solo per sentirla parlare. La sua voce aveva il trillo argentino di un torrente di montagna. Appena scesa dal treno, avrebbe dimenticato il nostro breve incontro; ma io avrei conservato il suo ricordo per il resto del viaggio e anche dopo. Il treno entrò in stazione. Una voce chiamò la ragazza che se ne andò, lasciando dietro di sé solo il suo profumo. Un uomo entrò nello scompartimento, farfugliando qualcosa. Il treno ripartì. Trovai a tentoni il finestrino e mi ci sedetti davanti, fissando la luce del giorno che per me era tenebra. Ancora una volta potevo rifare il mio giochetto con un nuovo compagno di viaggio. "Mi spiace di non essere un compagno attraente come quella che è appena uscita", mi disse lui, cercando di attaccar discorso. "Era una ragazza interessante", dissi io. "Potrebbe dirmi.., aveva i capelli lunghi o corti?". "Non ricordo", rispose in tono perplesso. "Sono i suoi occhi che mi sono rimasti impressi, non i capelli. Aveva gli occhi così belli! Peccato che non le servissero affatto... era completamente cieca. Non se n'era accorto?" Come due ciechi che fingono di vedere. Quanti incontri tra esseri umani sono così. Per paura di mettere allo scoperto ciò che si è. E così si perdono gli appuntamenti decisivi della vita. Certi incontri accadono una volta sola.

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