Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

Il Gallo del mattino, che sembrava si fosse perso nei giorni scorsi tra le nebbie, qui intorno a Modena, è riapparso fischiettando un vecchio motivetto di Cochi e Renato: «E, la vita la vita E la vita l'è strana, l'è strana Basta una persona, persona Che si monta la testa È finita la festa». Abbiamo un pennuto canterino, stamattina. Lo lascio perdere, lui e le sue fisse politiche. Sto consultando il dossier sulla 42a Giornata per la vita, che la Chiesa italiana ha celebrato il 2 febbraio scorso sul tema «Accogliere la vita». Rifletto su una frase di Papa Francesco che tocca da vicino il nostro Paese che invecchia: «Ogni bambino che si annuncia nel grembo di una donna è un dono, che cambia la storia di una famiglia: di un padre e di una madre, dei nonni e dei fratellini. E questo bimbo ha bisogno di essere accolto, amato e curato. Sempre!». Mi pare una bella cornice da mettere intorno alla notizia uscita dopo capodanno. Il primo gennaio 2020, la dottoressa Marina Semenzato è andata in pensione dopo 42 anni di servizio all'Ospedale Immacolata Concezione di Piove di Sacco (Padova). Di professione medico. Ascoltate le sue parole: «Ho messo per iscritto ogni parto, ho fissato su carta quello che era già impresso nella mia memoria: ciascun bambino venuto alla luce, ciascuna mamma aiutata prima e dopo il lieto evento... Ne sono scaturiti 6 diari, la storia di 42 anni di professione ostetrica e parimenti la storia di 42 anni di mamme e bambini. Di famiglie. Io non ho avuto figli e loro, i “miei” 3.173 bambini, sono stati la mia grande famiglia». Oggi, Marina come volontaria si occupa di educazione alla affettività e sessualità nelle scuole. Immaginare quei 3.173 germogli equivale a pensare che la vita non finirà mai di stupirci. Molti di quei bambini oggi sono diventati adulti e, a loro volta, avranno generato la vita, chi da impiegato, chi da meccanico, da ingegnere, astronauta, ballerina, stilista, ricercatrice, cartoonist, top manager, fioraio, dottore, chef, attore, musicista, maestra, magari missionaria. Chissà. Il nostro Gallo si avvicina e mi fa: «Ma a chi sta sfuggendo di mano la vita con amarezza... possiamo parlare di bambini che nascono?» Raccolgo il suggerimento e recupero altre parole di Marina. «Le mani. Ho sempre cercato un'alleanza, una fiducia confidente con le mie mani... che hanno ricoperto un ruolo determinante nella nascita: mani che hanno accarezzato, che hanno sostenuto, confortato, raccolto, lenito, esplorato, toccato massaggiato... mani che hanno sempre amato incondizionatamente tutti i protagonisti di questa straordinaria esperienza che è il miracolo della vita. Le mie mani come quelle di qualsiasi operatrice del settore». Il Gallo guarda lontano e farfuglia: «Le mani inchiodate sulla croce». Poi, all'improvviso, riprende il vecchio motivetto. «...E, la vita la vita E la vita l'è bella, l'è bella Basta avere l'ombrella, l'ombrella Ti ripara la testa Sembra un giorno di festa».

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«Voi siete la luce del mondo».
Se metto un grosso cucchiaio di sale nella zuppa, sarà immangiabile. Ce ne vuole solo un pizzico, che basta ad insaporirla. O, senza utilizzare un’immagine, anche se non ci sono che pochi uomini a sopportare con buon umore, bontà e indulgenza le debolezze del loro prossimo (e le loro, in più!), a non essere solo preoccupati di imporsi, di perseguire i propri scopi e i propri interessi, questo pugno di uomini ha la possibilità di cambiare il proprio ambiente, contribuendo a che il nostro mondo resti umano. Il nostro mondo sarebbe povero, inumano e freddo se non ci fossero uomini che danno prova di questa cordialità e di questa generosità spontanee. Essere il sale della terra: siamo abbastanza fiduciosi per credere al carattere contagioso della bontà? O ci accontentiamo di temere il potere contagioso del male? Un pizzico di sale basta a dare gusto a tutto un piatto. Ognuno di noi, anche se si sente isolato, ha la fortuna di poter cambiare il clima che lo circonda! Gesù ci crede capaci: voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo! Lo siamo?

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,13-16)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Dalla Parola del giorno
«Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli».

Salati e luminosi
L'annuncio rivoluzionario delle beatitudini non ha ancora raggiunto tutti gli uditori accorsi al monte, e Gesù - senza perdere tempo! - ci interpella con un brano che tratteggia l'identikit del discepolo. I quattro pescatori di Cafarnao si sono lasciati catturare dalla rete del Rabbì, hanno lasciato tutto, si sono fidati e affidati alla Sua Parola. Ora, il maestro, li prepara alla loro missione. Le due immagini del sale e della luce sono ricche di riferimenti alla vita quotidiana e alla tradizione biblica, ma qui vengono usate per tratteggiare l'identikit del discepolo chiamato a far gustare e a rendere visibile la forza trasformante della Parola. Matteo, il più moralista tra gli evangelisti, ci richiama giustamente il tema delle "opere buone". Il discepolo, toccato dalla Parola, è chiamato a vivere come testimone della forza del Vangelo per rendere gloria al Padre. Ed è proprio per quest'unica ragione che Gesù ci chiama ad essere discepoli salati e luminosi. Non per noi, non per farci battere le mani, non per essere stimati e ammirati, ma per la gloria di Dio dobbiamo essere sale e luce. Il brano sottolinea anche la dimensione universale di questa responsabilità affidata ai discepoli: sale della terra e luce del mondo. Non per pochi o per qualcuno, ma per tutti. Il compito affidato ai neo-discepoli si presenta da subito segnato dall'universalità. C'è un annuncio che è da portare a tutti, che non ha confini geografici o etnici. A questo sono chiamati i discepoli d'ogni tempo. E Gesù è davvero drastico nel dichiarare che chi si sottrae a questo compito è inutile e da buttare. Cosa te ne fai del sale insipido? Nulla. Cosa te ne fai di una luce che non illumina? Nulla. Così è del discepolo insipido e ombroso. Coraggio, cari amici! Il sale e la luce sono in noi, sono doni di Dio, non dobbiamo dubitare. Piuttosto teniamo d'occhio quel moggio che vuole oscurarci o quella tiepidezza che ci toglie il gusto della vita e della fede. Non permettiamo a nessuno, nemmeno alle nostre pigrizie e delusioni, di togliere quella carica profetica e missionaria che il Risorto affida a ciascuno di noi. Animo, fratelli, come discepoli salati e luminosi, testimoniamo che vivere con Lui o senza di Lui non è la stessa cosa!

Buona settimana
don Roberto Seregni

Pietà Gesù Maestro e Signore, per tutte quelle volte che non sono stato un buon discepolo, per tutte le volte che non ti ho testimoniato con le buone opere. Pietà per tutte quelle volte che non sono stato luce per quanti erano nel buio, nella tristezza e nella solitudine. Pietà per tutte le volte che non sono stato sale. Sono stato invece insipiente nel giudizio, superficiale al bisogno del fratello, insipido nel comportamento, corrotto nell'atteggiamento, scialbo nelle relazioni, interessato solo a me stesso e al mio successo.
Gesù quando dice "voi siete sale, voi siete luce" lo dice consapevole che il mondo è pieno di buio e violenza, ma proprio per questo crede negli uomini che si è scelto come discepoli, anche se loro stessi sono segnati dal limite umano. Le tante zone oscure del mondo, dentro e fuori dell'uomo, hanno bisogno della nostra luce e del nostro sale, che sono la luce e il sale di Gesù in noi. Se perdiamo la fiducia in Dio e pensiamo che il suo Vangelo non cambierà nulla, sarà davvero come gettare via il sale insipido e come nascondere una luce potente che invece andrebbe messa in alto. Ascoltiamo dunque queste parole dette ai discepoli come rivolte a noi, a ciascuno di noi personalmente e come comunità. Sentiamole come un enorme atto di fiducia di Gesù che ancora oggi crede in noi e con noi illumina le tenebre del mondo.

Disegno di Sergio Toppi

Togliamo a San Paolo Gesù Cristo, e non avrà più ragione di essere nè la sua conversione, nè la sua vita, nè il suo apostolato, nè le sue catene, nè il suo martirio (APim, p. 145).

Ognuno di noi è chiamato ad essere luce e sale nel proprio ambiente di vita quotidiana, perseverando nel compito di rigenerare la realtà umana nello spirito del Vangelo e nella prospettiva del regno di Dio. Ci sia sempre di aiuto la protezione di Maria Santissima, prima discepola di Gesù e modello dei credenti che vivono ogni giorno nella storia la loro vocazione e missione. La nostra Madre ci aiuti a lasciarci sempre purificare e illuminare dal Signore, per diventare a nostra volta “sale della terra” e “luce del mondo”.

ANGELUS - Piazza San Pietro Domenica - 5 febbraio 2017

La candela che non voleva bruciare (Bruno Ferrero)

Questo non si era mai visto: una candela che rifiuta di accendersi. Tutte le candele dell'armadio inorridirono. Una candela che non voleva accendersi era una cosa inaudita! Mancavano pochi giorni a Natale e tutte le candele erano eccitate all'idea di essere protagoniste della festa, con la luce, il profumo, la bellezza che irradiavano e comunicavano a tutti. Eccetto quella giovane candela rossa e dorata che ripeteva ostinatamente: -No e poi no! Io non voglio bruciare. Quando veniamo accesi, in un attimo ci consumiamo. Io voglio rimanere così come sono: elegante, bella e soprattutto intera-. -Se non bruci è come se fosse già morta senza essere vissuta-, replicò un grosso cero, che aveva già visto due Natali. -Tu sei fatta di cera e stoppino ma questo è niente. Quando bruci sei veramente tu e sei completamente felice-. -No, grazie tante - rispose la candela rossa. - Ammetto che il buio, il freddo e la solitudine sono orribili, ma è sempre meglio che soffrire per una fiamma che brucia. -La vita non è fatta di parole e non si può capire con le parole, bisogna passarci dentro-, continuò il cero. -Solo chi impegna il proprio essere cambia il mondo e allo stesso tempo cambia se stesso. Se lasci che la solitudine, buio e freddo avanzino, avvolgeranno il mondo-. -Vuoi dire che noi serviamo a combattere il freddo, le tenebre e la solitudine?-. -Certo- ribadì il cero. -Ci consumiamo e perdiamo eleganza e colori, ma diventiamo utili e stimati. Siamo i cavalieri della luce-. -Ma ci consumiamo e perdiamo forma e colore-. -Sì, ma siamo più forti della notte e del gelo del mondo- concluse il cero. Così anche la candela rossa e dorata si lasciò accendere. Brillò nella notte con tutto il suo cuore e trasformo in luce la sua bellezza, come se dovesse sconfiggere da sola tutto il freddo e il buio del mondo. La cera e lo stoppino si consumarono piano piano ma la luce della candela continuò a splendere a lungo negli occhi e nel cuore degli uomini per i quali era bruciata.

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