Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

“E chi è Lucia?”, chiedo al Gallo del mattino.
“Una signora, di cognome Orsetti, che ha attraversato le 90 primavere proprio ieri. Sta bene, qualche piccolo vuoto di memoria, ma sale due piani di scale senza affanno, con calma”.
“Lucia, ti tenti sola?”
“Se son sola non son sola, c'è il Signore che mi consola”. C'è anche la sua gatta Micia che le fa compagnia.
La giaculatoria, antica, l'ha imparata da sua madre che la portò poco più che adolescente a Modena, profughe entrambe da Rovigno d'Istria con il fagotto di poche cose appresso. Era terminata da poco la guerra, ma lassù i Titini derubavano e uccidevano gli italiani.
Giunta a Modena, la storia si fa interessante. Per tre ragioni. Intraprende la strada di segretaria d'azienda fino a diventare la persona di fiducia, e capo del personale, dell'impresa di Giorgio Fini, il primo autogrill d'Italia sull'autostrada di Bologna e noto marchio di ristorazione a cominciare dai tortellini (Fini, dal 1912). Si dedica poi totalmente al servizio della Chiesa di San Domenico a Modena, fondata dai Padri Domenicani, e diventa terziaria domenicana. E, in ultimo, il fatto centrale: Lucia nel 1948, da poco arrivata in città, incontra Luisa Guidotti Mistrali, medico, laica, missionaria in Africa, che sarà uccisa in un agguato di guerriglia africana nel 1979. Oggi Luisa Guidotti è Serva di Dio e sepolta nel Duomo di Modena. Lucia ne diventa l'amica inseparabile, la sorella spirituale, l'irrefrenabile sostenitrice con opere caritative per le missioni in Zimbabwe, ex Rhodesia, allora colonia britannica (1965-1979). Ora Lucia ha tanti amici che l'aiutano, ha 90 anni ed è sola. Non ha avuto tempo di metter su famiglia.
I ragazzi della Scuola Figlie di Gesù di Modena, quinta classe, hanno messo in scena un recital sulla Serva di Dio Luisa Guidotti per raccontarne la vita di medico e missionaria, una storia che coinvolge anche la nostra Lucia. Fotografie, personaggi storici, date scandite dai piccoli attori, musiche in audio, dal vivo, hanno suscitato emozione in tutti presenti (il Teatro del Centro Culturale Giacomo Alberione era stipato) e grossi lucciconi brillavano negli occhi di Lucia (quella vera) che era in prima fila. A Giorgia Sereni, educatrice e drammaturga, e a Simone Buffagni, regista e tutto il resto, ho chiesto se la loro fatica non potesse diventare un spettacolo itinerante nelle scuole. Potrebbe.
Finito lo spettacolo, cerco Lucia. Ma dov'è? “Miss 90 Primavere” è già a casa, mi dicono, con la sua Micia. Si sentirà sola?
“Se son sola non son sola, c'è il Signore che mi consola”.

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«Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita».
“O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione”: è con questa preghiera che apriamo la liturgia di questa domenica. Il Vangelo ci annuncia una misericordia che è già avvenuta e ci invita a riceverla in fretta: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”, dice san Paolo (2Cor 5,20). Il padre non impedisce al suo secondogenito di allontanarsi da lui. Egli rispetta la sua libertà, che il figlio impiegherà per vivere una vita grigia e degradata. Ma mai si stanca di aspettare, fino al momento in cui potrà riabbracciarlo di nuovo, a casa. Di fronte all’amore del padre, il peccato del figlio risalta maggiormente. La sofferenza e le privazioni sopportate dal figlio minore sono la conseguenza del suo desiderio di indipendenza e di autonomia, e di abbandono del padre. La nostalgia di una comunione perduta risveglia in lui un altro desiderio: riprendere il cammino del focolare familiare. Questo desiderio del cuore, suscitato dalla grazia, è l’inizio della conversione che noi chiediamo di continuo a Dio. Siamo sempre sicuri dell’accoglienza del padre. La figura del fratello maggiore ci ricorda che non ci comportiamo veramente da figli e figlie se non proviamo gli stessi sentimenti del padre. Il perdono passa per il riconoscimento del bisogno di essere costantemente accolti dal Padre. Solo così la Pasqua diventa per il cristiano una festa del perdono ricevuto e di vera fratellanza.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15,1-3.11-32)

«Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita».
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Dalla Parola del giorno
«Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare...».

Con l'abito del figlio
Dalle mie parti l'inverno è ancora il padrone di casa. La temperatura fatica a salire, la terra è ancora dura come granito, ma gli abili potatori alleggeriscono vigne e meleti, li preparano alla nuova desiderata primavera. Per portare frutto bisogna tagliare e alleggerire, bisogna farlo con arte e senza rimandare. Guardo la precisione del taglio, i rami potati a terra, la pianta preparata alla nuova stagione. Per me, per la mia comunità, per voi amici lettori, chiedo questo dono allo Spirito. Una potatura feconda, un alleggerimento necessario per fare in noi l'esperienza strabordante della Pasqua, primavera dello Spirito. Il deserto e il Tabor ci hanno preparato all'invito della conversione della scorsa settimana e ora la liturgia ci fa gustare il notissimo brano del padre e dei due figli. Questa famosa parabola di Luca è la storia di un "ritorno". Ritorno del figlio minore che nel fango dei porci lascia annegare il suo delirio di onnipotenza. Ritorno accompagnato dallo sguardo premuroso del padre che sorveglia la strada deserta, che continua a sperare contro ogni speranza. Ritorno nell'abbraccio del padre, quasi un tuffo nella presa sicura di chi non rinfaccia, non accusa, non umilia, non chiede spiegazioni, ma spegne l'incendio delle giustificazioni preparate in anticipo con l'acqua fresca della dignità filiale ridonata. Evvai con la festa! Ma qualcuno ancora manca: l'altro figlio. Il fratello maggiore, spesso dimenticato nelle nostre omelie (sarà che ci assomiglia troppo?), è l'emblema di una religione da prestazione che rinsecchisce la gioia di abitare nella casa del Padre. Sì, si può stare con Lui ma senza gioirne, senza gustarne la bellezza e lo stupore. Ma perché? Guardatelo: è nei campi a lavorare, fa il suo dovere ed è talmente intontito dalla sua giustizia formale da diventare un giudice permaloso e impietoso del fratello e del padre. Suo fratello ritorna e lui non mostra nemmeno un po' di gioia. Possibile? Possibile, certo, perché lui non vive come un figlio, ma come un servo che rinfaccia la sua opera servizievole. Le conseguenze sono evidenti: per lui il fratello non è più fratello, il padre non è più un padre e non c'è spazio per condividere la gioia e la festa di un ritorno a casa. Il fratello maggiore vive nella solitudine e ragiona come un servo. Geloso e permaloso non si presenta alla festa. E ora guardate il padre: che meraviglia! Non si stufa', non perde la pazienza con questi suoi figli che non capiscono, che si ostinano e si stizziscono. Esce ancora sulle tracce del figlio che ha preso le distanze dalla festa ingiusta. Con calma spiega, svuota il suo cuore di padre e lo invita alla festa. Ma dobbiamo fermarci qui. Come la scorsa settimana - il fico è lasciato o tagliato? - niente finale per questa parabola. "Vissero felici e contenti" è solo per le favole. Il finale è tutto nostro. Tutto da scrivere. Nel mio cuore ci sono entrambi questi figli. Le loro povertà e le loro distanze mi fotografano e mi mettono a nudo. Ma la certezza di un Padre che si è già messo sulle mie tracce, che scruta la strada, che spera di vedermi sui passi del ritorno mi riempie il cuore di speranza. Non conta se porto l'abito del porcaro o la veste del figlio presuntuoso. Non importa quante ferite mi porto sulla pelle, quante delusioni ho accumulato o quante lacrime si sono seccate tra gli occhi. Non importa. Non conta. Ora ritorno. Ora voglio quell'abbraccio. Da lì saprò ripartire. Nuovo. Rivestito con l'abito del figlio. Per grazia. Per amore.
Buona Quaresima!

don Roberto Seregni
Ti preghiamo, Signore Gesù, rivesti le nostre nudità con la veste del Figlio,la Tua, quella di cui ti sei spogliato per salire sulla Croce. Rivesti le nostre fragilità con la forza del tuo amore, le nostre delusioni con la speranza che viene solo da Te, i nostri scoraggiamenti con il soffio potente dello Spirito. Maria, madre Tua e madre nostra, aggiunga ciò che manca alla nostra preghiera. Amen.
È la domenica della gioia. Non chiudiamoci nella tristezza perché ci si riconosce nel peccato del minore o in quello del maggiore. Guardiamo nel cuore del Padre. Ci aiutano le parole del santo curato d'Ars: "È più facile salvarsi che perdersi, tanto è grande la misericordia di Dio. Brama più il buon Dio di perdonare un peccatore pentito che non una madre di strappare il suo bambino dal fuoco in cui è caduto". Racchiudi nel cuore la pagina del Vangelo di questa domenica, portala come un dono prezioso che la Chiesa ti offre perché anche tu possa ritrovare la strada del ritorno a casa! E' una pagina formidabile per preparare la tua confessione sacramentale in vista della Pasqua.

Disegno di Sergio Toppi

Essere famigliari di Dio; convertire il mondo è cosa solo di chi è davvero di Dio. Il beneamino di Dio. Dio lo difende, lo consola, lo santifica come tale. E' la pupilla dell'occhio di Dio (APim, p. 163).

La figura del padre della parabola svela il cuore di Dio. Egli è il Padre misericordioso che in Gesù ci ama oltre ogni misura, aspetta sempre la nostra conversione ogni volta che sbagliamo; attende il nostro ritorno quando ci allontaniamo da Lui pensando di poterne fare a meno; è sempre pronto ad aprirci le sue braccia qualunque cosa sia successa. Come il padre del Vangelo, anche Dio continua a considerarci suoi figli quando ci siamo smarriti, e ci viene incontro con tenerezza quando ritorniamo a Lui. E ci parla con tanta bontà quando noi crediamo di essere giusti. Gli errori che commettiamo, anche se grandi, non scalfiscono la fedeltà del suo amore. Nel sacramento della Riconciliazione possiamo sempre di nuovo ripartire: Egli ci accoglie, ci restituisce la dignità di figli suoi e ci dice: “Vai avanti! Sii in pace! Alzati, vai avanti!”.

All’Angelus: Piazza San Pietro – IV Domenica di Quaresima, 6 marzo 2016

Un padre lasciò in eredità ai suoi due figli un campo di grano. I due fratelli divisero equamente il campo. Uno era ricco e non sposato, l'altro povero e con numerosi figli. Una volta, al tempo della mietitura, il fratello ricco si rigirava nel letto di notte e diceva tra sé: "Io sono ricco, a che mi servono tutti quei covoni? Mio fratello è povero, e ha bisogno di molto frumento per la sua famiglia". Si alzò da letto, andò nella sua parte di campo, prese una gran quantità di mannelli di grano e li portò nel campo del fratello. Nella stessa notte, suo fratello pensò: "Mio fratello non ha moglie né figli. L'unica cosa in cui può trovare gioia è la sua ricchezza. Io gliela voglio accrescere". Lasciò il proprio giaciglio, andò nella sua parte di campo e portò una gran quantità di mannelli nel campo del fratello. Quando entrambi, al mattino, si recarono nel proprio campo, si meravigliarono che il grano non fosse diminuito. Nelle notti che seguirono fecero la stessa cosa. Ognuno dei due portava il proprio grano nel campo dell'altro. E ogni mattina scoprivano che il grano non diminuiva. Ma una notte i due fratelli, con le braccia cariche di grano si incontrarono sul confine dei campi. Si resero conto ridendo di quello che era accaduto e si abbracciarono. Allora udirono una voce dal cielo: "Questo luogo, sul quale si è manifestato tanto amore fraterno, merita di essere scelto perché su di esso si edifichi il mio tempio: il tempio dell'amore fraterno". E in effetti il re Salomone scelse quel posto per la costruzione del tempio. Oggi il re Salomone riuscirebbe ancora a trovare un posto per il tempio?
Bruno Ferrero

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