Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

Palazzo Migliori si trova dentro la Città del Vaticano, in largo degli Alicorni 28. Nel 1930, fu donato alla Santa Sede dalla famiglia che lo fece costruire alla fine del Settecento ed ha una superficie di 2000 metri quadri situati su quattro piani. Papa Francesco, il 15 novembre 2019, l'ha inaugurato come centro di accoglienza per i poveri. Sembrava destinato a diventare un hotel di lusso, ma il notro Bergoglio, figlio di emigrati piemontesi in Argentina, ha voluto cederlo ai poveri. La Comunità di Sant'Egidio si occupa della gestione e ospita ogni giorno fino a 30 senza tetto. Nelle cucine del Palazzo, ogni martedì, padre Corrado, l'elemosiniere del Papa prepara con i volontari il cibo per chi vive a Roma intorno alle stazioni Termini e Tiburdtina. (Sì, il cardinale polacco Konrad Krajewschi, quello che ha fisicamente riattaccato la corrente allo Spin Time Labs, l’edificio di via Santa Croce in Gerusalemme 55, a due passi da San Giovanni, abitato da 420 persone tra cui 98 bambini, a cui era stata staccata la luce). Il Gallo del mattino, che ascolta con attenzione la notizia del Palazzo dei poveri, circolata nelle notti fredde dell'ultimo Natale, mi porge un appunto evidenziato in giallo. «Scrivi ciò che hanno detto Silvano e Carlo». Silvano è un clochard che ora ha il suo bel letto. Carlo è il direttore della sede, volontario di Sant'Egidio e, nella vita normale, funzionario di Palazzo Chigi. Il primo ha dormito al freddo e al gelo per otto anni, sotto il colonnato, lì vicino. «Ho appena fatto una doccia calda e domattina scenderò a colazione. Dalla finestra si vede piazza San Pietro, come la vede il Papa. S'immagini se sono contento». Corrado, ricordando il passato di volontario, quando usciva di notte a distribuire panini e bevande calde, dice: «Il palazzo non vuole essere un dormitorio ma una casa per chi non ha casa, e anzi una casa bella. Ce lo ha detto Francesco, la bellezza guarisce», e indica i quadri e il soffitto a cassettoni. Bisognerebbe cominciare a raccontare infinite storie dolorose, nascoste tra i poveri che vivono per strada. Perdita di lavoro e di dignità, fame, separazioni, lutti, alcolismo, tradimenti, malattie, solitudini. Il Gallo del mattino mi fa cenno di tacere e mi comunica che uno di questi giorni si recherà Roma. «Cosa vai a fare a Roma? E come ci vai?» «Mi accompagni tu, in treno. Frecciargento, in prima classe. Se ci possono andare i cani e i gatti, ci posso andare anch'io. Basta pagare il supplemento. Mi raccomando». «Vedremo, vedremo. E cosa vorresti fare a Roma?». «Vorrei ammirare la Città eterna dalla Cupola di San Pietro, e poi scendere giù a citofonare in Largo Alicorni, 28». «Non vorrai mica fare l'imitazione di chi so io». «Cosa c'è di male? Chiederei soltanto: “È qui che si spaccia la carità”, l'amore di Cristo?». 

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«I miei occhi hanno visto la tua salvezza».
Il vecchio Simeone, certo della promessa ricevuta, riconosce Gesù e la salvezza di cui il Cristo è portatore e accetta il compiersi della sua esistenza. Anche Anna, questa profetessa ormai avanti negli anni, che aveva però passato quasi tutta la sua vita in preghiera e penitenza riconosce Gesù e sa parlare di lui a quanti lo attendono. Anna e Simeone, a differenza di molti altri, capiscono che quel bimbo è il Messia perché i loro occhi sono puri, la loro fede è semplice e perché, vivendo nella preghiera e nell’adesione alla volontà del Padre, hanno conquistato la capacità di riconoscere la ricchezza dei tempi nuovi. Prima ancora di Simeone e Anna è la fede di Maria che permette all’amore di Dio per noi di tramutarsi nel dono offertoci in Cristo Gesù. Giovanni Paolo II nella “Redemptoris Mater” ci ricorda che “quello di Simeone appare come un secondo annuncio a Maria, poiché le indica la concreta dimensione storica nella quale il Figlio compirà la sua missione, cioè nell’incomprensione e nel dolore” (n. 16).

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,22-40)

Quando Gesù seppe Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele». Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua madre, disse: «Ecco, egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione – e anche a te una spada trafiggerà l’anima –, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto con il marito sette anni dopo il suo matrimonio, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Quando ebbero adempiuto ogni cosa secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era su di lui.

Dalla Parola del giorno
"I miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele"

Ripresentazione
Gesù "è presentato" al tempio. Viene presentato da chi, seguendo la legge, lo affida in questa presentazione all'avventura della vita. La luce dello Spirito illumina ognuno di noi, perché possa presentare al tempio l'avventura del Cristo oggi, nel tempio del mondo. Ricordando che Gesù oggi viene ripresentato come Cristo Risorto nelle sfaccettature della vita: ogni settore, ogni ambito, ogni situazione della vita umana è presentazione a noi del Risorto. Mai e in nessuna situazione possiamo permetterci di dire: qui non c'è. Simeone è il simbolo del nostro vecchio mondo, un mondo invecchiato negli anni, ma dove lo Spirito ringiovanisce la vista della fede, e permette di distinguere il segno della presenza di Dio anche là dove non si vede nulla. Rivedere il nostro mondo pieno di questa abbondante ripresentazione spirituale - perché opera dello Spirito - di Gesù ci fa essere sempre e soltanto positivi della speranza riposta in Lui: "Ora lascia..." che tutto avvenga di me, che ogni risvolto della vita vada come vada, perché la luce del Cristo illumina tutti e tutto di noi. Un'ultima considerazione: "...seguendo la legge.." avviene quella presentazione di Gesù al tempio; come a dire, anche a noi oggi, che il Cristo lo si distingue sempre, sì, ma nella Legge, e quando la si legge.

Buona settimana
don Luciano Sanvito

Signore, anche solo per la consacrazione battesimale, fa' che io ti veda nella Parola nell'Eucaristia nel prossimo. Fa' che io ti riconosca come mio compagno di viaggio: non in tenebre di non senso o di disobbedienza ma in sereno accordo a i tuoi insegnamenti, nella volontà del Padre. Rafforza la nostra fiducia in te, purifica la nostra fede, sostienici con la tua grazia affinché con gioia portiamo a compimento la nostra vocazione: essere tuoi discepoli e testimoni, luce per rivelarti alle genti, per la Tua gloria. Amen
La forza rinnovatrice della Parola di Dio non sono racchiusi in un luogo e in alcuni gesti rituali, come non lo erano nei culti e nelle pareti del Tempio di Gerusalemme. Gesù è nella vita, perché è lui stesso vita! Andare a messa domenicale quindi non serve a rendere culto a Dio e incontrarlo come se lui fosse solo li in quei gesti e parole. La messa domenicale è il momento nel quale impariamo a riconoscere Gesù e a riconoscerci l'un l'altro come parte del Suo corpo e della sua presenza. Nella messa, attraverso gesti antichi in parte rinnovati e resi più comprensibili, celebriamo la vita umana che è toccata e unita alla vita divina. Se non avrò cercato, amato e seguito Gesù nella vita di ogni giorno, quel rito domenicale, corto o lungo che sia, non sarà servito a nulla. Penso che il pensiero più corretto quando siamo usciamo dalla messa non sia "ho incontrato il Signore... e fino alla prossima messa sono a posto", ma "adesso ho voglia di incontrare ancora il Signore della vita, che mi aspetta nelle persone, nelle loro storie e nella vita di tutti i giorni che è piena della sua presenza!"

Disegno di Sergio Toppi

Pensava dapprima ad una organizzazione cattolica di scrittori, tecnici, librai, rivenditori cattolici... Verso il 1910 fece un passo definitivo: scrittori, tecnici, propagandisti, ma religiosi e religiose (AD,24).

Quanto ci fa bene, come Simeone, tenere il Signore «tra le braccia» (Lc 2,28)! Non solo nella testa e nel cuore, ma tra le mani, in ogni cosa che facciamo: nella preghiera, al lavoro, a tavola, al telefono, a scuola, coi poveri, ovunque. Avere il Signore tra le mani è l’antidoto al misticismo isolato e all’attivismo sfrenato, perché l’incontro reale con Gesù raddrizza sia i sentimentalisti devoti che i faccendieri frenetici. Vivere l’incontro con Gesù è anche il rimedio alla paralisi della normalità, è aprirsi al quotidiano scompiglio della grazia. Lasciarsi incontrare da Gesù, far incontrare Gesù: è il segreto per mantenere viva la fiamma della vita spirituale. È il modo per non farsi risucchiare in una vita asfittica, dove le lamentele, l’amarezza e le inevitabili delusioni hanno la meglio.

Basilica Vaticana - Venerdì, 2 febbraio 2018

La gioia di dare (Bruno Ferrero)

Due fratelli, uno di cinque anni e l'altro di dieci, vestiti di stracci, continuavano a chiedere un po' di cibo per le case della strada che circondava la collina. Erano affamati, ma non riuscirono ad ottenere niente, i loro tentativi frustanti li rattistavano. Finalmente, una signora diede loro una bottiglia di latte. Che festa per i due bambini! Allora si sedettero sul marciapiede, e il più piccolo disse a quello di dieci anni: "Tu sei il maggiore, bevi per primo...", e lo guardava coi suoi denti bianchi, con la bocca mezza aperta. Il grande si portò la bottiglia alla bocca e, facendo finta di bere, stringeva le labbra per non far entrare nemmeno una sola goccia di latte. Poi passò la bottiglia al fratellino che, dando un sorso, esclamò: "Com'è saporito!". Poi fu di nuovo il turno del maggiore. Anche questa volta si portò la bottiglia alla bocca, ormai già quasi mezza vuota, ma non bevve niente. E fecero così finché il latte non finì. A quel punto il fratello maggiore, benché con lo stomaco vuoto ma col cuore traboccante di gioia, cominciò a cantare e a danzare. Saltava con la semplicità di chi non fa niente di straordinario, o ancora meglio, con la semplicità di chi è abituato a fare cose straordinarie senza dargli importanza. Noi che viviamo in un mondo di agiatezze, possiamo imparare una grande lezione da quel ragazzo: "Chi dà è più felice di chi riceve".

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