Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

Il Gallo del mattino mi ha sorpreso che stavo incorniciando un ritaglio di giornale datato 5 gennaio 2020. È un articolo di Ferruccio de Bortoli, editorialista del Corriere della sera, già direttore dal 1997 al 2003 e dal 2009 al 2015. La prima domenica dell'anno gli è stato affidato il compito di commentare i dati aggiornati sulla popolazione italiana. Il Gallo legge il titolo «Gli immigrati in Italia, che cosa dicono i numeri», e mi chiede «E cosa dice l'articolo?».
Leggo. «Il primo nato a Torino è stato Hadega; a Brescia Youssef; in Calabria Harshita; in Liguria Daniel; in Sicilia Mohammed; in Puglia Iuliana. Che cosa hanno in comune questi bimbi? Sono tutti figli di immigrati. L'Italia è il loro Paese. L'Unicef ha stimato per il giorno di capodanno la nascita in Italia di oltre mille e 200 bimbi. Speriamo siano stati di più».
«Ma non erano prima gli italiani?», incalza il Gallo. Pare di no, e continuo la lettura, a suo beneficio e mio. «L'Istat ha appena aggiornato i dati sulla popolazione italiana. Nel 2018 i nati vivi sono al minimo storico dall'Unità di Italia (439 mila 747). Il tasso di fecondità è di 1,32 per donna. Dovrebbe essere superiore a 2 per garantire la stabilità della popolazione (tra vivi e morti). Ultimi gli italiani, senza volerlo. Questo è lo slogan vero».
E senti questa. «Il sollievo di meno sbarchi, meno arrivi per la prima volta dall'Africa, è compensato dalla constatazione, più amara e silenziosa, che l'Italia come terra di emigrazione non sia più così attrattiva. Perché non cresce. E infatti aumentano dell'1,9 per cento i nostri connazionali che si trasferiscono all'estero in cerca di un lavoro». «Ma che facciamo politica? Attento, oggi si vota in Emilia Romagna e Calabria», mi ammonisce il Gallo.
Ci sto attento e come. Oggi ho incorniciato anche la notizia che è la prima Domenica della Parola di Dio istituita da Papa Francesco con la Lettera Apostolica “Aperuit illis”, un giorno dedicato interamente alla Bibbia. Scrive il Papa: «Abbiamo urgente necessità di diventare familiari e intimi della Sacra Scrittura e del Risorto, che non cessa di spezzare la Parola e il Pane nella comunità dei credenti» (n. 8). Dagli slogan a «parole vita», questo è il problema. Chissà come sarebbe il mondo se gli ultimi diventassero i primi. «Scommetto che stai pensando anche tu a creare un movimento di merluzzetti». È la battuta del mio pennuto. «No, penso semmai a un esercito di lavoratori e lavoratrici per le nostre belle vigne. Nella parabola di Gesù, riferita dal Vangelo di Matteo (Mt, 20, 1-16), nessuno è disoccupato e tutti vengono retribuiti allo stesso modo. Che strano il Regno dei cieli, è proprio l'invenzione di un altro mondo». 

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«Venne a Cafàrnao perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa».
L’evangelista Matteo, riprendendo un’immagine del libro di Isaia, ci dice quello che è Gesù per noi: la luce. Nella nostra vita, vediamo spesso tenebre, resistenze, difficoltà, compiti non risolti che si accumulano davanti a noi come un’enorme montagna, problemi con i figli, o gli amici, con la solitudine, il lavoro non gradito... È tra tutte queste esperienze penose che ci raggiunge la buona parola: non vedete solo le tenebre, guardate anche la luce con cui Dio rischiara la vostra vita. Egli ha mandato Gesù per condividere con voi le vostre pene. Voi potete contare su di lui che è al vostro fianco, luce nell’oscurità. Non siamo noi che diamo alla nostra vita il suo senso ultimo. È lui. Non è né il nostro lavoro, né il nostro sapere, né il nostro successo. È lui, e la luce che ci distribuisce. Perché il valore della nostra vita non si basa su quello che facciamo, né sulla considerazione o l’influenza che acquistiamo. Essa prende tutto il suo valore perché Dio ci guarda, si volta verso di noi, senza condizioni, e qualsiasi sia il nostro merito. La sua luce penetra nelle nostre tenebre più profonde, anche là dove ci sentiamo radicalmente rimessi in causa, essa penetra nel nostro errore. Possiamo fidarci proprio quando sentiamo i limiti della nostra vita, quando questa ci pesa e il suo senso sembra sfuggirci. Il popolo immenso nelle tenebre ha visto una luce luminosa; una luce è apparsa a coloro che erano nel buio regno della morte!

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 1,29-34)

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

Dalla Parola del giorno
«Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono».

Chiamati
Giovanni è in prigione, scrive Matteo. Non solo un punto di riferimento cronologico nella vita di Gesù, ma una profezia, un anticipo della sorte che toccherà - come a tutti profeti - anche al Rabbì di Nazareth. Affiancato a questo evento, Matteo aggiorna il lettore sulla nuova residenza di Gesù: da Nazareth a Cafarnao. Questo spostamento non è per nulla casuale. La regione di Zabulon e Neftali è un territorio di frontiera, luogo di mescolanze etniche, culturali, religiose, guardato con diffidenza dai puritani di Gerusalemme. Gesù inizia da qui. La Sua è una scelta precisa, un trasloco che conferma che questo messia che si è infilato tra i peccatori al fiume Giordano, ha uno stile, un progetto, un cammino che è destinato a creare non pochi problemi. Forse qualcuno si aspettava che il Messia atteso prendesse in affitto un comodo bilocale con balconata sulla piazza centrale di Gerusalemme... Delusione. Grande delusione. Fin dall'inizio Gesù chiarisce che Lui è diverso, irriducibile agli schemi in uso, rivoluzionario - e per certi versi deludente - rispetto a molte delle attese del tempo. Da questa terra squalificata, da questa collocazione strategica della sua missione, Gesù da il via alla primitiva predicazione: l'esigenza della conversione e l'annuncio del Regno. La chiamata dei primi quattro discepoli esemplificano e concretizzano queste prime parole del Rabbì. Sono molti gli elementi che caratterizzano questa prima chiamata dei discepoli riportata da Matteo. Rileggendola con calma, mi affascina la centralità di Gesù. E' Lui che cammina, vede, chiama. E' Lui al centro dell'invito fatto ai quattro pescatori di Cafarnao: "Seguitemi". La proposta del Rabbì non riguarda una dottrina religiosa, un insegnamento, un progetto. Al centro di tutto sta la relazione con Lui, sta la novità di un incontro che stravolge la vita di quegl'uomini. Mi fa riflettere che i primi quattro discepoli siano due coppie di fratelli. Curioso? Non vi pare? Chissà quanti pescatori c'erano quel giorno sulle rive del mare di Galilea, e Gesù va a scegliersi proprio due coppie di fratelli! E' così: il Vangelo è un invito alla fraternità, perché questa è la sola condizione con cui è possibile mettersi seriamente alla Sua sequela. Tutto l'avventura del cammino dei discepoli, mostrerà che il superamento delle piccole logiche personali, l'abbattimento dei propri egoismi, lo smascheramento della propria falsa autosufficienza e l'apertura alla nuova logica della fraternità del Regno, siano condizioni essenziali della vita evangelica e dell'esistenza del discepolo. Allora coraggio, cari amici! Rimettiamoci in cammino, lasciamo che l'invito del Rabbì risuoni forte tra le reti della nostra quotidianità e ci risollevi dalle nostre incertezze e dalle tiepidezze della fede.

Buona cammino
don Roberto Seregni

Signore, mi piace la voce del mare, e certamente la porterò con me ovunque. Perché su queste rive ti ho incontrato, e mai potrò dimenticare la tua voce che pronuncia il mio nome. All'alba, quando il mondo ancora attende di svegliarsi, ti ho trovato accanto a me mentre tornavo da una notte di fatica e nei tuoi occhi, come nelle onde del mare al primo raggio di sole, ho incontrato il mio volto. Tu sei il mio mare, tu la pesca del mio navigare.
L'appello che Gesù fa «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino», è un forte appello di mettersi in cammino, subito e con decisione, e di non rimanere fermi e bloccati, nelle scelte e nello spirito. Convertirsi significa non fermarsi a guardare con commiserazione inutile i nostri limiti e sbagli e nemmeno stare fermi in posizioni e sicurezze, ma significa credere che dietro a Gesù la vita riprende nuovo slancio, e camminando con speranza, troviamo realmente quella luce che splende nelle tenebre del mondo e anche nelle nostre.

Disegno di Sergio Toppi

La povertà intesa nel senso evangelico-paolino, è insieme mortificazione, giustizia, provvidenza, lavoro, produzione. La economia ha come base naturale e soprannaturale la virtù e il voto di povertà. In generale il paolino vive del suo apostolato; e per le spese straordinarie ricorre alla beneficenza dei Cooperatori (CISP, p.164)

Noi, cristiani di oggi, abbiamo la gioia di proclamare e testimoniare la nostra fede perché c’è stato quel primo annuncio, perché ci sono stati quegli uomini umili e coraggiosi che hanno risposto generosamente alla chiamata di Gesù. Sulle rive del lago, in una terra impensabile, è nata la prima comunità dei discepoli di Cristo. La consapevolezza di questi inizi susciti in noi il desiderio di portare la parola, l’amore e la tenerezza di Gesù in ogni contesto, anche il più impervio e resistente. Portare la Parola a tutte le periferie! Tutti gli spazi del vivere umano sono terreno in cui gettare la semente del Vangelo, affinché porti frutti di salvezza.

ANGELUS - Piazza San Pietro - Domenica, 22 gennaio 2017

L'anfora imperfetta (Bruno Ferrero)

Ogni giorno, un contadino portava l'acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell'asino, che gli trotterellava accanto. Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua. L'altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia. L'anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l'anfora nuova non perdeva l'occasione di far notare la sua perfezione: "Non perdo neanche una stilla d'acqua, io!". Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone: "Lo sai, sono cosciente dei miei limiti. Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia. Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota. Perdona la mia debolezza e le mie ferite". Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all'anfora screpolata e le disse: "Guarda il bordo della strada". "E' bellissimo, pieno di fiori". "Solo grazie a te", disse il padrone. "Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada. Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno...". Siamo tutti pieni di ferite e screpolature, ma se lo vogliamo, Dio sa fare meraviglie con le nostre imperfezioni. Ho fatto tanti sogni che non si sono mai avverati. Li ho visti svanire all'alba. Ma quel poco che grazie a Dio si è attuato, mi fa venire voglia di sognare ancora. Ho formulato tante preghiere senza ricevere risposta, pur avendo atteso a lungo e con pazienza, ma quelle poche che sono state esaudite mi fanno venire voglia di pregare ancora. Mi sono fidato di tanti amici che mi hanno abbandonato e mi hanno lasciato a piangere da solo, ma quei pochi che mi sono stati fedeli mi fanno venire voglia di avere ancora fiducia. Ho sparso tanti semi che sono caduti per la strada e sono stati mangiati dagli uccelli, ma i pochi covoni dorati che ho portato fra le braccia, mi fanno venire voglia di seminare ancora.

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