Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

Il fondatore dei Paolini, il Beato Giacomo Alberione (1884-1971), ricordando le sue origini contadine, amava dire ai suoi figlioli: <<Siamo tutti nati in una stalla>>; e alla cresciuta Famiglia Paolina, specificava che all'origine eravamo tutti nel “Presepio”. Un altro elogio della stalla l'ha fatto Marcello Musacchi, responsabile dell'Ufficio Catechistico regionale dell'Emilia-Romagna e direttore dell'ufficio Catechistico di Ferrara. Nella “Tre giorni di pastorale”, tenutasi a Modena (5, 5, 8 giugno 2019) sul tema dell'iniziazione cristiana dei bambini e dei ragazzi, nella sua relazione ha spiegato il celebre dipinto della Conversione di San Paolo del Caravaggio (Basilica Santa Maria del Popolo, Roma) svelandoci il tesoro nascosto che non tutti conoscono. Caravaggio non racconta l'evento della presunta “caduta da cavallo” di Paolo sulla via di Damasco, ma racconta la caduta di Paolo in una stalla. Nel quadro il cavallo domina la scena, e la persona che lo tiene per il morso è uno stalliere. Le allusioni alla stalla di Betlemme sono forti: gli animali della tradizione del presepe, il bue e l'asino, sono sostituiti dal cavallo (di essi tuttavia non parlano i Vangeli, né gli Atti degli Apostoli parlano di cavallo). Paolo, con le spalle a terra, apre le braccia come un bambino che supplica di essere accolto. La luce dall'alto, secondo la tecnica di Caravaggio, invade il buio della vita di Paolo svelando la fragilità del fariseo (a terra, umiliato, da humus). Lì accanto la spada, simbolo della violenza contro i cristiani, abbandonata, immagine della Parola che ha fermato Paolo, allusione al martirio che concluderà la vita di Paolo. La conversione di Paolo dunque non è raffigurata in modo tradizionale, all'aperto, sulla via di Damasco, ma all'interno di una stalla, nell'umiltà terrena, come la nascita di Cristo. Ritornando al tema della “Tre giorni di pastorale”, Marcello Musacchi auspica una rinascita della catechesi che è precipitata da cavallo. In parole più semplici: il vecchio catechismo non fa più presa sui bambini e sui ragazzi. Perciò dobbiamo parlare di iniziazione cristiana, cioè di esperienza di vita, di testimonianza cristiana, di nuovi moduli comunicativi e generativi. Per ascoltare la Parola, per accostarsi ai sacramenti, per celebrare l'Eucarestia non basta più il catechista specializzato, è necessario invece che emerga la comunità, come agli inizi; che la comunità generi i suoi figli attraverso “credenti in concerto”, dal capo scout, all'allenatore sportivo, all'educatrice di sostegno, a quelli dell'Azione Cattolica, alla rappresentanza dei genitori, all'assistente ecclesiastico; la comunità dovrà operare attraverso nuove strade comunicative, dotarsi di nuovi “sussidi 2.0”. <<Come la nascita umana è esperienza di uscita dal chiuso del grembo e ingresso nel mondo, così l'iniziazione cristiana è un'esperienza di uscita dal chiuso del proprio “io” e apertura verso il “tu” e verso il “noi” attraverso il volto, le mani, il sorriso della comunità cristiana>>. Oggi non c'è il Gallo del Mattino, l'avrete notato. S'è preso qualche giorno di ferie scrivendomi un biglietto: <<Fai tu, ma torno presto>>. Una delega e una minaccia.

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«Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme.
Ti seguirò ovunque tu vada».
C’è qualcosa di radicale nella vocazione a seguire Gesù (è una caratteristica di ogni cristiano autentico) che ci sconvolge. Si potrebbe essere tentati di invocare una particolarità di modo di pensare, perfino di linguaggio, per addolcire o stemperare gli argomenti del Vangelo. Eppure abbiamo ogni interesse a prendere il Vangelo per ciò che è, ed approfittare della sua freschezza, del suo vigore. Seguire Cristo non è una cosa come un’altra, che si possa conciliare con esigenze parallele o contrarie. Chi intraprende questo cammino deve sapere fin dall’inizio che sarà il discepolo di un povero che non ha un luogo dove posare il capo, di un uomo che ha saputo non senza pericolo rompere certi legami, e che, una volta impegnatosi in una missione, non si è più guardato alle spalle. Ci si abitua troppo facilmente a vedere i cristiani prendere e lasciare il messaggio evangelico; ora, questo disturba e deve disturbare il male che non cerca che di radicarsi in noi. Bisogna rinnovare il nostro impegno battesimale ricevendo per oggi le dure parole di Gesù, ed accettare coraggiosamente di essere dei discepoli che camminano sui suoi passi, sicuri di trovare, oltre il cammino pietroso, la felicità della vera vita.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 9,51-62)

«Prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Ti seguirò ovunque tu vada».
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Dalla Parola del giorno
«Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Senza volgersi indietro
La liturgia di questa domenica ci propone una svolta importante del terzo evangelo. Siamo all'inizio del viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Un percorso impossibile dal punto di vista geografico, ma chiaro nel progetto teologico dell'autore. Cioè: Luca non vuole descrivere la mappa stradale e cronologica del Rabbì di Nazareth in cammino verso la Gerusalemme, ma indicare la sua scelta di incamminarsi liberamente verso il luogo della Croce e della Resurrezione. Questo cammino, però, si apre nel segno del rifiuto e dell'incomprensione. Rifiuto dei samaritani che si oppongono all'accoglienza del Rabbì Gesù a causa della direzione del suo cammino; incomprensione dei discepoli che non hanno capito la novità di Gesù e vogliono mettere a fuoco e fiamme i samaritani. (Beh, direi che come inizio non è male...) Lungo questo cammino avvengono tre incontri, tre brevi dialoghi accumunati dal tema della sequela e dall'estrema radicalità delle condizioni per seguire il maestro. Mi piace far notare che dei tre interlocutori non si sa nulla: né la loro identità, né la loro scelta definitiva. Tutto è centrato sulle esigenze della vita del discepolo, sulla serietà della missione. Luca ci sta preparando al brano dell'invio dei settantadue, che ascolteremo la prossima settimana (cfr. Lc 10, 1ss). Nel primo incontro si sottolinea che il discepolo è esposto alla precarietà e all'insicurezza. Chi sceglie di seguire Gesù si deve scordare le comodità e la quiete. La vita cristiana è disponibilità incondizionata: "dovunque tu vada". Interessante: fin quando il Signore ci porta su sentieri che ci piacciono e ci gratificano, va tutto bene; ma quando la Sua Parola ci punzecchia, ci fa intuire che qualcosa non va, che bisogna cambiare traccia o fermarsi un po' per fare il punto della situazione, allora iniziano i problemi. Faccio finta di nulla? Avrò capito bene? Forse ho mangiato pesante e mi si sono annebbiate le idee? Aspetto un po' e vediamo che succede... E poi non è così grave! Così si è solo discepoli di se stessi e delle proprie comodità. Il Rabbì di Nazareth ci chiama alla leggerezza della sequela, ad alzarci dai nostri comodi salotti spirituali, a riprendere il cammino e mettere tutta la nostra fiducia nelle mani del Padre. Il secondo dialogo vuole invece svelare senza ombre il primato assoluto e imbarattabile del Regno di Dio nella vita del discepolo. La risposta di Gesù è assolutamente scandalosa, non solo alla luce della Scrittura Sacra, ma anche per il buon senso. Come si può non dare sepoltura al proprio padre? Ma il Rabbì di Nazareth, come in molte altre occasioni, vuole darci uno scossone. Esagera Gesù, lo sa che abbiamo bisogno di questo. C'è un primato da stabilire nella vita del discepolo, una precedenza assoluta dell'evento del Regno di Dio. Niente, nemmeno la sepoltura al proprio padre, può venire prima dell'annuncio del Regno di Dio. Il discepolo di Gesù è uno con delle priorità ben chiare, stampate a fuoco nella testa e nel cuore. Il terzo colloquio di Gesù è per gli eterni indecisi, per chi rinvia sempre, per chi fa un passo in avanti e due indietro, per chi vive di nostalgie per quello che ha lasciato e non si permette di gustare la novità, per chi vede passare molti treni e non si decide a sceglierne uno. L'esigenze della vita cristiana chiedono coraggio e decisione, non sopportano la sedentarietà e i tentennamenti. Se ti volti indietro rischi di uscire di strada, di lasciarti alle spalle il tuo futuro, di nutrirti di nostalgie. Coraggio, cari amici, la Parola ci chiama ad una verifica coraggiosa della nostra vita di discepoli. Lasciamoci mettere in crisi, senza paura. Lo Spirito ci chiama alla novità.

Buona Settimana
don Roberto Seregni
Signore, rendici capaci di generare, di trasmettere ai nostri giovani il patrimonio che abbiamo ricevuto, da te, dai nostri Padri. In una reciprocità che va al di là del tempo, lo abbiamo trafficato e fatto crescere. Loro possano accoglierlo e a loro volta trasformarlo, aumentarlo, diffonderlo, lasciarlo in eredità ad altri ancora. Amen.
Può apparire duro il Vangelo di oggi, ma quanto è dolce sentire Gesù che si rivolge a me, a te, con quel "seguimi". Piace farvi dono di una riflessione di Paolo VI che, un giorno di Quaresima, così chiedeva a chi lo ascoltava: "Noi vorremmo rivolgerci singolarmente a ciascuno per parlare a voce sommessa al cuore e dire: tu segui e accetti il Signore? Credi in Lui? Gli vuoi bene? Pensi alle sue parole? Sono esse vere per te, o passano invece come farfalle senza mèta? Sono effettivamente il colloquio con Dio? Riguardano la tua esistenza? Incalzano sopra di te e riescono ad ottenere che tu abbia a modellare la tua vita ai disegni di Dio? Si tratta ora di vedere quale è la nostra risposta al Signore e quali sono gli ostacoli da eliminare, perché sia una risposta degna di Lui" .

Disegno di Sergio Toppi

Se San Paolo vivesse, continuerebbe ad ardere di quella duplice fiamma, di un medesimo incendio, lo zelo per Dio ed il suo Cristo, e per gli uomini d'ogni paese. E per farsi sentire salirebbe sui pulpiti più elevati e moltiplicherebbe la sua parola con i mezzi del progresso attuale (ACV, 62).

Mettersi alla sequela di Gesù significa prendere la propria Croce per accompagnarlo nel suo cammino, un cammino scomodo che non è quello del successo, della gloria passeggera, ma quello che conduce alla vera libertà, quella che ci libera dall’egoismo e dal peccato. Si tratta di operare un netto rifiuto di quella mentalità mondana che pone il proprio “io” e i propri interessi al centro dell’esistenza: questo non è ciò che Gesù vuole da noi! Invece, Gesù ci invita a perdere la nostra vita per Lui, per il Vangelo, per riceverla rinnovata, realizzata e autentica. Siamo certi, grazie a Gesù, che questa strada conduce alla fine alla risurrezione, alla vita piena e definitiva con Dio.

Tratto dal diario di padre Gaspare Di Vincenzo

Una donna andò dal suo sacerdote e disse: "NON VOGLIO PIÙ FREQUENTARE LA CHIESA".
Lui le rispose: "posso chiederti perché?".
Lei rispose: "vedo delle persone che usano il cellulare durante la Messa, alcuni invece spettegolano, altri semplicemente non vivono in modo corretto, sono tutti solo degli ipocriti...
Il prete rimase silenzioso, poi rispose: "OK, ma posso chiederti di fare qualcosa per me prima di prendere la tua decisione definitiva?".
Lei disse: "cosa devo fare?"
Lui rispose: "prendi un bicchiere d'acqua, cammina per due volte intorno alla chiesa senza versare neanche una goccia d'acqua".
Lei disse: "posso farcela". Dopo un po' tornò indietro e disse: "ecco fatto"
Il prete le fece allora tre domande: 1) hai visto nessuno usare il cellulare? 2) hai visto nessuno che spettegolava? 3) hai visto nessuno comportarsi male?
Lei rispose: "beh, non ho visto niente, perché stavo attenta a non far cadere l'acqua".
Allora il prete rispose: "quando vieni in chiesa, dovresti essere concentrata su Dio, così da non cadere TU! (... e poi la comunità è formata da uomini e donne come Maria, che riescono a vivere la fede in perfetta santità, da Pietro che con la sua fede povera e turbolenta ha rinnegato Gesù, ma non per questo Dio non ha disprezzato di consegnare nelle sue mani la missione di pascere l'intero Popolo Santo di Dio (la Chiesa)... e ancora e formata dagli stessi storpi, ciechi ed emarginati che Gesù incontrava e amava. La Chiesa non è l'agenzia dei perfetti, ma la comunità in cammino dei credenti, nella consapevolezza che Cristo ci perfeziona, potenzia e ama. Lasciati amare).
QUESTO È IL MOTIVO PER CUI GESÙ HA DETTO "SEGUIMI!"
Non ha detto "seguite gli altri cristiani"...!

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