Disegno di Sergio Toppi

«Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura»(Mc 16, 15). «Se qualcuno si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui quando ritornerà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi» (Lc 9, 26).

Tra le notizie della rassegna stampa, che mi prepara ogni settimana il Gallo del mattino, ne ho messo da parte due che mi hanno fatto drizzare i baffi. La prima riguarda i bambini e risale al 16 ottobre scorso, Giornata mondiale dell'Alimentazione. I dati forniti dall'Unicef dicono che un bambino su tre, sotto i 5 anni, nel mondo muore di fame o è troppo grasso. Udite: 149 milioni di bambini hanno ritardi nella crescita, sono cioè troppo bassi per la loro età; 50 milioni sono deperiti, cioè sono pelle e ossa per mancanza di cibo. Pensiamo all'area dell'Africa subsahariana (Repubblica centroafricana, Ciad, Madagascar, Yemen, Zambia). Ma non basta. In tutto il mondo il numero delle persone denutrite è salito a 822 milioni, dai 785 milioni che erano nel 2015. Gli obesi invece appartengono a noi, ai Paesi ricchi dell'emisfero nord del pianeta. I “cicciobomba” sono 40 milioni, in rapido sviluppo, nutriti da bibite gassate e zuccherate e dai cibi fast food. In Italia: un milione e mezzo di bambini sono denutriti, mentre gli obesi rappresentano il 36,8% dei giovanissimi, in bella vista come tra i più “grassi” d'Europa. Ho messo questi numeri nel pozzo di Giacobbe, a Sicar in Samaria. Nella lettera pastorale “Se tu conoscessi il dono di Dio” di don Erio, il nostro padre arcivescovo, evoca quel pozzo e commenta il racconto dell'evangelista Giovanni sulla Samaritana che incontra Gesù proprio al nostro pozzo, stanco e assetato, mentre i discepoli vanno nella città a comprare del cibo (Gv 4). Si parla di cibo e di acqua, i due elementi essenziali della vita. Sete e fame, acqua e cibo. Battesimo ed Eucarestia. Gesù si offre come acqua e cibo. I numeri della fame del mondo e la sete di Cristo si sono amalgamati, e hanno reso più chiaro ciò che significa l'iniziazione alla fede cristiana: da dove bisogna partire per arrivare all'incontro con Cristo. Non sottraiamoci alle domande: “perché” milioni di bambini non hanno da mangiare, oppure, perché altri super nutriti sono segnati dal diabete e da altre malattie. Se non sappiamo cosa rispondere, andiamo da Gesù al pozzo di Giacobbe. Troveremo acqua da bere e cibo per sfamare noi e i nostri figli. Ed ora passiamo brevemente all'altra notizia. Mi è arrivata con l'applauso che i parlamentari hanno fatto al ministro Luigi Di Maio, che annunciava l'intenzione di cessare la nostra fornitura di armi alla Turchia nella guerra contro i Curdi. Mi sono ricordato all'improvviso che noi (cristiani da 2000 anni) oltre alle Ferrari, fabbrichiamo e vendiamo strumenti di distruzione e di morte. Produciamo pistole, fucili, proiettili, siluri, missili, mine anti uomo, elicotteri e aerei da combattimento, autoblindo, sottomarini, e compagnia sparando. Tra i nostri maggiori clienti il Kuwait e la Turchia, in un mercato totale di 82 Paesi. Noi alimentiamo il “tirassegno”, guerre dove muoiono bambini. “Siamo nella top 10 dei costruttori e venditori di armi nel mondo” aggiunge il Gallo con l'aria di chi se ne intende. “Anche nei fucili da caccia? Allora, occhio alla penna!”.

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«Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo».
La parola del Signore che ci invitava, domenica scorsa, a perseverare nella preghiera - Dio ascolterà coloro che perseverano nella loro preghiera - risuona ancora alle nostre orecchie mentre il testo evangelico di oggi completa l’insegnamento sulla preghiera: bisogna certamente pregare, e pregare con insistenza. Ma questo non basta, bisogna pregare sempre di più. E il primo ornamento della preghiera è la qualità dell’umiltà: essere convinti della propria povertà, della propria imperfezione e indegnità. Dio, come ci ricorda la lettura del Siracide, ascolta la preghiera del povero, soprattutto del povero di spirito, cioè di colui che sa e si dichiara senza qualità, come il pubblicano della parabola. La preghiera del pubblicano, che Gesù approva, non parte dai suoi meriti, né dalla sua perfezione (di cui nega l’esistenza), ma dalla giustizia salvatrice di Dio, che, nel suo amore, può compensare la mancanza di meriti personali: ed è questa giustizia divina che ottiene al pubblicano, senza meriti all’attivo, di rientrare a casa “diventato giusto”, “giustificato”.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 18,9-14)

«Il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza del fariseo».
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato.

Dalla Parola del giorno
«perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato»

Dimmi come preghi e ti dirò in che Dio credi
Il fariseo e il pubblicano. Due uomini che salgono al tempio a pregare. Due storie srotolate per essere afferrate dalle mani di Dio. Due modi diversi di stare davanti a Lui, agl'altri e a se stessi. La parabola che oggi la liturgia ci consegna, ci fa fare un percorso molto importante: i due protagonisti sono presentati con lo stile della loro preghiera, con il loro modo di mettersi davanti a Dio, ma in realtà essi sono fotografati anche nel loro stile di vita, nel loro modo di porsi davanti agli altri e a se stessi. La preghiera di questi due uomini ci svela il loro mondo interiore e ci fa scoprire che lo stile con il quale stiamo davanti a Dio, dipende da quale idea di Lui, di noi e degl'altri, abbiamo nel cuore. Ricordo un amico gesuita che amava ripetere: "Dimmi come preghi e ti dirò in che Dio credi." Ecco una prima fondamentale provocazione che ci viene da questa parabola: se la tua preghiera è stanca, ripetitiva, distratta, forse devi impegnarti un po' di più e magari cercare un orario o un luogo migliore per viverla in pienezza; oppure - e questo è il messaggio della parabola - ti devi chiedere se quel Dio che preghi è davvero quello che ha svelato Gesù oppure se è un puzzle di cristianesimo sbiadito, superstizioni e consuetudini che ti sei costruito al fai-da-te della religione. Penso che sia davvero molto importante farsi onestamente queste domande, perché ho incontrato molte persone che si sono scoraggiate nella loro esperienza di preghiera, perché si rivolgevano ad un Dio che era il frutto delle loro proiezioni e dei loro desideri, ma che nulla aveva a che fare con il Dio di Gesù. Ora vediamo più da vicino i due personaggi. Il fariseo si rivolge a Dio sbandierando i suoi meriti - per altro reali - e si permette, forte della sua giustizia e rettitudine, di giudicare duramente gli altri. La sua preghiera è autoreferenziale, non attende nulla da Dio, non si apre alla relazione con Lui. Ha già i suoi meriti e gli bastano quelli. E' un uomo talmente pieno di sé e della sua bravura, che per Dio non c'è posto. Il fariseo è irreprensibile nel rispetto della legge, forse fa pure di più di quello che gli è chiesto, le sue opere sono buone, non c'è dubbio; ma ciò che non è buono è il suo modo di valutarle e di considerarle; ciò che non è buono è la sua presunzione e il giudizio tagliente sfoderato sul pubblicano. Di cristiani così, purtroppo, ne ho conosciuti parecchi. Pieni della loro giustizia, della loro bravura, delle loro partecipazioni ai gruppi parrocchiali o agli incontri dei movimenti, da sentirsi in dovere di puntare il dito contro quei fratelli e quelle sorelle che forse - proprio da loro - si sarebbero aspettati una mano tesa, un sorriso, un riflesso del cuore del Rabbì di Nazareth. Il pubblicano, invece, cosciente del suo peccato, della sua connivenza traditrice con l'invasore romano, si mette davanti a Dio con tutta la sua miseria e il desiderio del perdono. Sa che qualcosa deve cambiare e ne chiede la forza. Sa che da solo non può farcela, che ha bisogno del perdono di Dio. Di cristiani così, per fortuna, ne ho conosciuti parecchi. Uomini e donne che si sono affidati alle mani di Dio; che hanno smesso di contrattare con Lui e si sono abbandonati, consegnati al suo abbraccio affidabile; che hanno smesso di vivere pieni di sensi di colpa e si sono fidati della potenza del perdono di Dio, della sua novità consegnata alle nostre mani; che hanno iniziato ad amare la Chiesa come comunità di peccatori perdonati che si accolgono, smettendo di puntare il dito, di giudicare, di escludere, di sognare la comunità perfetta (che, chissà perché, è sempre a propria immagine e somiglianza...). Di cristiani così ne ho conosciuti tanti. Uomini e donne silenziosi, umili, granitici nella fede, profetici nello sguardo, incandescenti nella preghiera. Coraggio, cari amici! Lasciamoci graffiare da questa Parola, mettiamoci nudi davanti a Lui, riprendiamo il filo della nostra preghiera e con umiltà ripetiamo la domanda sincera degli apostoli: "Signore, insegnaci a pregare!" (Luca 11,1)

Buona Settimana
don Roberto Seregni

Anche noi ti diciamo grazie perché "tu non fai preferenze di persone e ci dai la certezza che la preghiera dell'umile penetra le nubi". Ti chiediamo: "guarda anche a noi come al pubblicano pentito, e fa' che ci apriamo alla confidenza nella tua misericordia per essere giustificati nel tuo nome. Per il nostro Signore Gesù Cristo", nostro fratello e salvatore, volto visibile del Padre buono. Amen.

Ancora una volta, il Signore chiede a ciascuno di noi l'autenticità, la capacità di presentarci di fronte a lui senza ruoli, senza maschere, senza paranoie. Dio non ha bisogno di bravi ragazzi che si presentano da lui per avere una pacca consolatoria sulle spalle, ma di figli che amano stare col padre, nell'assoluta e (a volte) drammatica autenticità. Questa è la condizione per ottenere, come il pubblicano, la conversione del cuore. Succede spesso, invece, di vedere che quando preghiamo, i nostri occhi e le nostre attenzioni, da Dio si spostano facilmente sull'altro che ci è accanto o vicino. Guardare come è vestito quello, o quella, vedere quello là, guardare cosa fa', pensare che quello seduto lì è quello che era così e così... Spesso le nostre assemblee da eucaristiche, diventano osservatorio dell'altro. Il Vangelo non solo riprende questa situazione, ma fa emergere il paradosso del fariseo, buono e bravo, senza peccati, che prega Dio, ma alla fine prega a scapito dell'altro, prega sull'altro come se fosse un piedistallo per dare forza alla sua preghiera.

Disegno di Sergio Toppi

Unione di spirito. Questa è la parte sostanziale. La Famiglia Paolina ha una sola spiritualità: vivere integralmente il Vangelo; vivere nel Divin Maestro in qunato Egli è Via, Verità e Vita; viverlo come lo ha compreso il suo discepolo San Paolo (UPS III, 187). 

Alla luce di questa Parola, vorrei chiedere a voi, care famiglie: pregate qualche volta in famiglia? Qualcuno sì, lo so. Ma tanti mi dicono: ma come si fa? Ma, si fa come il pubblicano, è chiaro: umilmente, davanti a Dio. Ognuno con umiltà si lascia guardare dal Signore e chiede la sua bontà, che venga a noi. Ma, in famiglia, come si fa? Perché sembra che la preghiera sia una cosa personale, e poi non c’è mai un momento adatto, tranquillo, in famiglia … Sì, è vero, ma è anche questione di umiltà, di riconoscere che abbiamo bisogno di Dio, come il pubblicano! E tutte le famiglie, abbiamo bisogno di Dio: tutti, tutti! Bisogno del suo aiuto, della sua forza, della sua benedizione, della sua misericordia, del suo perdono. E ci vuole semplicità: per pregare in famiglia, ci vuole semplicità! Pregare insieme il “Padre nostro”, intorno alla tavola, non è una cosa straordinaria: è facile. E pregare insieme il Rosario, in famiglia, è molto bello, dà tanta forza! E anche pregare l’uno per l’altro: il marito per la moglie, la moglie per il marito, ambedue per i figli, i figli per i genitori, per i nonni … Pregare l’uno per l’altro. Questo è pregare in famiglia, e questo fa forte la famiglia: la preghiera.

Piazza San Pietro - Domenica, 27 ottobre 2013

Il barilotto

C'era una volta un cavaliere che aveva valorosamente combattuto in tutti gli angoli del Regno. Finché un giorno, durante una scaramuccia, un colpo di balestra gli aveva trapassato una gamba e quasi messo fine ai suoi giorni. Mentre giaceva ferito, il cavaliere aveva intravisto il paradiso, ma molto lontano e fuori della sua portata. Mentre l'inferno con la gola spalancata e infuocata era vicino vicino. Aveva da tempo, infatti, calpestato tutte le promesse e le regole della cavalleria e si era trasformato in un soldataccio impenitente, che ammazzava senza rimorsi il suo prossimo, razziava e commetteva ogni sorta di violenze. Pieno di spavento salutare, gettò elmo, spada e armatura e si diresse a piedi verso la caverna di un santo eremita. "Padre mio, vorrei ricevere il perdono delle mie colpe, perché nutro una gran paura per la salvezza dell'anima mia. Farò qualunque penitenza. Non ho paura di niente, io!". "Bene, figliolo", rispose l'eremita. "Fa' soltanto una cosa: vammi a riempire d'acqua questo barilotto e poi riportamelo". "Uff! E' una penitenza da bambini o da donnette!", sbraitò il cavaliere agitando un pugno minaccioso. Ma la visione del diavolo sghignazzante lo ammorbidì subito. Prese il barilotto sotto braccio e, brontolando, si diresse al fiume. Immerse il barilotto nell'acqua, ma quello rifiutò di riempirsi. "E' un sortilegio magico", ruggì il penitente. "Ma ora vedremo". Si diresse verso una sorgente: il barilotto rimase ostinatamente vuoto. Furibondo, si precipitò al pozzo del villaggio. Fatica sprecata! Un anno dopo, il vecchio eremita vide arrivare un povero straccione dai piedi sanguinanti e con un barilotto vuoto sotto il braccio. "Padre mio", disse il cavaliere (era proprio lui) con voce bassa e addolorata, "ho girato tutti i fiumi e le fonti del Regno. Non ho potuto riempire il barilotto... Ora so che i miei peccati non saranno perdonati. Sarò dannato per l'eternità! Ah, i miei peccati, i miei peccati così pesanti... Troppo tardi mi sono pentito". Le lacrime scorrevano sul suo volto scavato. Una lacrima piccola piccola scivolando sulla folta barba finì nel barilotto. Di colpo il barilotto si riempì fino all'orlo dell'acqua più pura, fresca e buona che mai si fosse vista. Una sola piccola lacrima di pentimento.

Bruno Ferrero

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